chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

venerdì 27 dicembre 2013

Pinocchio e le metamorfosi istruttive

di Mariaserena Peterlin 
(testo già pubblicato in Vivalascuola de La poesia e lo spirito)


Leggi il Manifesto di Pinocchio
Tra grottesche realtà, metamorfosi e rivoluzionarie invenzioni narrative, Pinocchio diventerà da burattino un ragazzino perbene, uno di quelli che “hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche nell’interno delle loro famiglie” (cap. 36), ma non nasce buono, infatti da subito disobbedisce ed infrange le comuni regole di buona creanza e di buona educazione e prestissimo incorre in castighi ed umiliazioni, nei rigori della legge e nella prigionia. In realtà Pinocchio disobbedisce rispetto alle comuni leggi dettate dall’omologazione, dalle convenienze, dalle usanze e convenzioni della società umana che lui, essendo nato burattino, non è portato a condividere naturalmente.
Come ha osservato Vincenzo Cerami quello di Pinocchio è un “lungo viaggio dal buio prenatale alla luce: la dolorosa catarsi che lo porterà verso la cruda realtà” (cfr: Collodi, Le avventure di Pinocchio, edizione illustrata, Milano 2002, Garzanti, Prefazione di Vincenzo Cerami pag. XXVI). Per raggiungere quella luce è necessario che il protagonista compia un lungo cammino di iniziazione segnato da progressive metamorfosi fino a quella finale in cui diventa “un bel fanciullo con i capelli castagni e gli occhi celesti” .
Sappiamo come il suo itinerario, funestato da inseguimenti e gravi pericoli, sia spesso fatto di corse, giravolte, capriole, mutamenti di direzione.
Un cammino avventuroso, dunque, in cui non mancano corrispondenze tra gli stati d’animo e le varie ambientazioni anche notturne come l’inseguimento degli assassini o il viaggio verso il paese dei balocchi.
L’autore fa crescere il suo burattino attraverso frenetiche esperienze durante le quali la sua originale natura ligneasperimenta quanto la realtà umana sia illusoria, variabile e spesso frutto di scambi o cambi di identità.
Collodi, che come noto fu anche autore di teatro, non trascura d’usare l’effetto fascinoso dei colpi di scena né manca di marcare con figure, metafore, simboli e contesti sia gli stati d’animo del protagonista, sia lo scorrere del tempo e dei luoghi che incorniciano le azioni.
Proponiamo qui una brevissima lettura, esemplificatrice di questa tesi, di poche citazioni tolte dai capitoli tra 19-23 e che risultano esemplari dei frenetici capovolgimenti di situazione o inversioni di ruoli. Grazie anche alla brillante e trascinante prosa collodiana questi brani danno conto dell’esperienza dolorosa del burattino Pinocchio in viaggio verso la vita reale.
L’intestazione del diciannovesimo del capitolo narra:Pinocchio è derubato delle sue monete d’oro e, per gastigo si busca quattro mesi di prigione. Siamo nel paese di Acchiappacitrulli dove il nostro, condannato nonostante sia parte lesa, usufruisce di una sorta di amnistia, ma ottiene la libertà, così come la condanna, per dir così, quando rovescia la realtà, ossia quando capisce che non si è puniti per essere davvero colpevoli e bugiardi, ma al contrario quando si è innocenti e si dice la verità:
— Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io — disse Pinocchio al carceriere.
— Voi no, — rispose il carceriere — perché voi non siete del bel numero….
— Domando scusa; — replicò Pinocchio — sono un malandrino anch’io.
— In questo caso avete mille ragioni, — disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.
Uscito di prigione affronta un’altra prova e la supera in modo grottesco o potremmo anche dire, grazie a una inversione di comportamenti: un serpente gli sbarra la strada, Pinocchio ne è terrorizzato, si getta all’indietro per sfuggirlo e cade per terra restando conficcato nel fango a gambe all’aria, ma è il serpente che muore per “una convulsione di risa” vedendolo sgambettare in quella ridicola posizione. E qui il burattino impara che non si muore per la paura, ma si può morire per il piacere di ridere. Riparte e corre, corre “per arrivare a casa della Fata avanti che si facesse buio”, ma preso dalla fame tenta di sgraffignare un grappolo d’uva finendo intrappolato in una tagliola messa da un contadino a difesa del suo campo (vorrebbe dunque rubare, ma è lui ad essere rubato).
Inizia qui per Pinocchio una singolare notte degli scambi in cui si mescolano realtà grottesche, imbrogli, inversioni, rovesciamenti e capriole narrative.
Il contadino che ha catturato Pinocchio gli mette al collo un grosso collare e gli impone di far da guardia ai ladri dei polli in sostituzione del suo cane, Melampo, che è morto: “puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c’è sempre la paglia che ha servito di letto per quattr’anni al mio povero cane”.
Pinocchio mortificato si adatta al ruolo dicendosi d’aver meritato il castigo; s’addormenta nel casotto dove invece del letto con le lenzuola di bucato c’è un po’ di paglia vecchia e sporca. Arrivano le faine, le ladre dei polli che, al buio della notte, scambiano Pinocchio per il cane Melampo: da collaudate delinquenti, instaurano una immediata trattativa, di gusto mafioso; una vera e propria mossa di corruzione. Qui si sovrappongono la notte degli scambi e quella degli imbrogli: “Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a visitare di notte questo pollaio e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione, s’intende bene, che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l’estro di abbaiare e di svegliare il contadino.
Pinocchio finge di accettare, ma non appena le faine si infilano nel pollaio le chiude dentro fissando la porta con una grossa pietra. Il contadino, avvisato, arriva e acchiappa le faine, poi le chiude in un sacco e da quel galantuomo qual è predispone una singolare trovata “Potrei punirvi, ma sì vil non sono! Mi contenterò, invece, di portarvi domani all’oste del vicino paese, il quale vi spellerà e vi cucinerà a uso lepre dolce e forte. È un onore che non vi meritate, ma gli uomini generosi come me non badano a queste piccolezze!”
Già, quale sistema migliore di farsi giustizia che mettere in atto un altro imbroglio, ossia una frode?
Pinocchio impara, ma anche se ha patito, come un classico limpido eroe, immeritate pene, umiliazioni durissime e sordidi tentativi di corruzione non svela, da mite pur se discolo, le colpe pregresse di Melampo: “… avrebbe potuto, cioè, raccontare i patti vergognosi che passavano tra il cane e le faine; ma ricordandosi che il cane era morto, pensò subito dentro di sè: — A che serve accusare i morti?… I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!
Questi sono alcuni dei tanti possibili esempi della singolare educazione ricevuta da Pinocchio; spesso egli mostra un’anima pietosa contenuta in un pezzo di legno, ma la vita e gli umani si affretteranno a limare e piallare, a tornire e rifinire quel legno fino a fargli dire: “com’ero buffo quando ero burattino! E come son contento di essere diventato un ragazzino perbene!

venerdì 20 dicembre 2013

La classe docente andrà in paradiso?

una vita, la mia, nella scuola
Forse la domanda dovrebbe essere un’altra: la classe docente esiste dal punto di vista sociale ed ha una identità riconosciuta, per dir così, pubblica oltre che professionale?
Se ce l’ha ed ha una sua specificità questa probabilmente è pluralista senza tendere all’individualismo, complessa senza essere inespugnabile, specifica senza essere corporativa, specializzata senza essere escludente.
I docenti non sono forse per peso, numero e peculiarità una parte significativa della società? Penso di sì.
È sufficiente fare una veloce stima dei gruppi di docenti esistenti nel web per constatare che questa identità esiste davvero e quanto sia viva e consapevole di esserlo.
La classe docente si occupa di istruzione, di formazione, di educazione; può dare un’impronta all’orientamento dei giovani verso il futuro, al loro modo di socializzare, considerare e rapportarsi agli altri; può indurre i ragazzi a riflettere, fin dall’adolescenza e anche prima, su quale sia il mondo in cui vorrebbero vivere: sono tutte questioni pesanti che danno prestigio al ruolo.
Infatti la politica si ricorda dei docenti, ma non quando potrebbe o dovrebbe ragionare sulle retribuzioni, sulle funzioni, sulla valorizzazione e aggiornamento degli insegnanti: se ne ricorda, semmai, quando cerca voti e consensi.
Tutti i politici se ne ricordano allora, come no.
Alle elezioni, alle primarie, a qualche referendum,  ai congressi, in occasioni pubbliche allora si parla sempre di scuola, di insegnanti e perfino de “i nostri ragazzi” che ho virgolettato perché non se ne può più.
Non se ne ricordano, e lo sappiamo, quando le scuole cascano a pezzi, quando mancano strumenti aggiornati, quando le classi sono affollate. Non se ne ricordano nemmeno quando qualche docente sbaglia, non si aggiorna, non è all’altezza.Laissez faire, laissez passer (lasciar correre, ignorare) è, in questi casi, la linea di condotta. Certo nessuno è perfetto, ma sappiamo bene come, per certe professioni, i danni siano come l’inquinamento ambientale sparso nelle nostre città: si diffonde, si appiccica, non fa passare aria buona ed è difficile da rimuovere.
Dunque, ipotizzo, dev’esser per colpa dei docenti non adeguati che tutta la classe docente è sovente mal pagata oppure pagata a sorteggio; ossia quando danaro ce n’è e se non ce n’è s’aspetta il turno.
Certo, ci sono anche i docenti che vivono la scuola in realtà di nicchia, quelli di scuole ben frequentate, chissà in qualche liceo per bene dove quasi tutto funziona come un orologio incorniciato da una realtà poco problematica.
Dev’esser per questo che qualche opinionista o giornalista, e anche il solito politico rampante o ansimante pensa che basti fare un fischio per veder correre donne e uomini insegnanti all’allettante richiamo. Hanno tanto tempo libero, possono fare, possono esserci, possono pure fare reclutamento adesioni!
Ci sono, è vero, anche i docenti che fanno parte per se stessi, che custodiscono gelosamente il loro status quo, considerano il precariato dei colleghi una sfortuna degli altrui che non li tocca, difendono il loro particolare e risparmiano energie aspettando la pensione quando verrà; ma i lavativi non ci sono forse in tutte le categorie: anche negli ospedali ad esempio e anche in politica?
Eppure io voglio davvero bene agli insegnanti e mi dispiace che, nonostante valide eccezioni assolutamente encomiabili, la classe docente (la categoria docente) sembri non volare: a volte rivendica eventuali diritti borbottando e non impegnandosi, altre volte si inacidisce sulla mancanza di sostegni e supporti che, tuttavia, sono (o dovrebbero) indispensabili allo studente, non al prof.
Ecco perché mi chiedo: esiste davvero una classe insegnante, o gli insegnanti sono come tutti gli altri?
Esiste e ha capito che può/deve avere un ruolo o pensa che andare al voto da docenti o da persone diversamente attente e consapevoli sia la stessa cosa? Esiste, è viva, si sa indignare, sa dire la sua quando serve o ha mollato?
Esiste e vuole un prossimo futuro in cui essere propositiva o ha messo in barca remi e timone e va alla deriva?
E con la deriva andrà in paradiso? Forse no.