chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

mercoledì 25 gennaio 2012

Insegnanti e Genitori : reciproca diffidenza?


insieme?
I genitori hanno fiducia negli insegnanti?
E, mi chiedo: il bravo prof deve avere, tra le sue qualità, quella di avere a cuore il rapporto con i genitori?
Ne parlavo con alcuni insegnanti del network La scuola che funziona.
Questa scelta richiede "coraggio"?
Non è piuttosto una scelta razionale?
Oppure il bravo insegnante ritiene che costruire con i genitori un rapporto di collaborazione sia necessario e migliori, in tempi medi o anche lunghi l'efficacia e la qualità della sua azione professionale?
E' vero, ammettiamolo: quella del ricevimento generale genitori non è, di solito, la miglior giornata dell'Anno Scolastico per i docenti.
 A volte ci si va, inutile nasconderlo, obtorto collo...
Ma è anche vero che molti dei genitori vengono ai colloqui come dal dentista (però gratis, e vorrei pure vedere!).
(Posso dire che non piaceva nemmeno alla mia mamma andare a parlare coi miei prof ? )
Ci sono reali difficoltà, e certamente  alle superiori la situazione è diversa rispetto agli altri gradi di istruzione; ma ipotizzo sia diversa anche per altri motivi: se  tra insegnanti e genitori non si instaura una attività di convinta co-educazione (non so se mi esprimo tecnicamente con parole adatte, ma non sono mai stata una brava tecno-didattica :)) )  fin dai primi anni non è forse più difficile "ricucire" alle superiori?
Stiamo usando questo aggettivo "bravo"  per comodità credo, ma si può sempre trovarne uno diverso o di impatto più soft. A me, lo dico tranquillamente, va bene anche questo.
Quando sono in rete leggo molti blog e, soprattutto in fB, tantissimi interventi di insegnanti o di gruppi di insegnanti. A me non sembra che ci sia tutta questa sensibilità verso il problema; invece il gioco del vittimismo, e non voglio davvero generalizzare perché ci sono anche casi diversi,  va alla grande.
Peccato davvero...

martedì 24 gennaio 2012

Se tuo figlio va fuori tema

Alice era distratta, e forse andava fuori tema!

Al mio post di ieri Pensar non nuoce? di pancia e d’altre maniere ho ricevuto, sulla mia pagina di fB  molti commenti ben più interessanti di quello che pensavo di aver scritto io. Avevo infatti scritto le mie riflessioni di getto e senza presunzione filosofica o psicologica;   e, se proprio devo darmi una definizione, direi che mi sento una specie di artigiana dell’opinione libera. Mi sono infatti molto sorpresa sia delle corrispondenze sia delle citazioni colte che ho ricevuto a commento. Davvero non speravo, non immaginavo!
Così oggi, dopo aver letto i suggerimenti degli amici, mi viene da distinguere tra pensare ed essere intelligenti; o meglio tra essere persone che ritengono di avere un pensiero da esprimere e persone intelligenti. Le differenze, e continuo a ricamare opinioni da libera artigiana, sono molte, ma qui mi preme mettere in luce che gli intelligenti a volte riescono a tacere, gli altri non sempre.
Non sono qui a difendere gli intelligenti che non si esprimono, che non rischiano, che non dicono la loro; anzi. A volte questa sorta di rassegnazione ha generato, e genera, maggiore velleità negli altri e non lievi danni. Però nei presuntuosi arroganti, nei semplificatori di professione, in quelli che “pensano di pancia” (verso i quali ho un filo di diffidenza grosso come un cordone di canapa) non troviamo la dote del “bel tacere”.
Sui diversi tipi di intelligenza si parla molto, a me sembra di leggervi delle affinità con le attitudini, i talenti personali. Personalmente mi piace la definizione etimologica di intelligente: chi sa leggere tra le righe, ossia (sempre artigianalmente opinionando) chi allena un fine spirito critico. Questa definizione mi è stata ricordata da Simona Martini.
Credo fermamente, e su questo mi gioco volentieri tutta la mia eventuale credibilità di persona ed insegnante di lungo corso, che se la scuola incentivasse, allenasse, promuovesse, in tutti i bambini e ragazzi l’ “accendere il cervello” per imparare a leggere anche fra le righe darebbe un contributo prezioso e li renderebbe più autonomi e attrezzati per il loro futuro.
Aggiungo andando fuori del seminato… il “LORO” futuro se lo costruiranno se non continuiamo a programmarglielo a modo nostro.
E concludo con un sommesso suggerimento a tutti: se un figlio tornasse a casa con un voto basso sul compito scritto d’italiano e la motivazione dell’insegnante fosse che “è andato fuori tema” … rassicuriamo il ragazzo (la ragazza). Il fuori tema potrebbe essere una prova di intelligenza: ha letto oltre le righe. Evviva. Ma per amor di pace a volte è meglio non mostrare di esser troppo intelligenti, e come suggerisce la mia amica Elettra Tafuro, (una grande insegnante a tante stelle) : pensare senza darlo a vedere….

martedì 17 gennaio 2012

IN ME C'E' L'ALUNNA CHE SONO STATA

In me c’è l’alunna che sono stata. E posso raccontare dei miei insegnanti, di come erano, del perché ho imparato e del cosa ho imparato. Posso farlo perché ne ho piena consapevolezza e riconosco ciò che mi ha fatto bene e ciò che mi ha fatto male. Questo posso raccontare e soltanto questo. E del mio essere insegnante posso raccontare del come mi sono sentita appagata o del come mi sono sentita fragile, del come mi sono sentita protagonista, vincente o gregaria… Ma di quello che imparano i ragazzi e di come lo imparano proprio non lo posso dire…solo io...Posso attribuire un voto, una valutazione, questo è vero…ma cosa è in fin dei conti un voto? Una fotografia che rappresenta la realtà nel momento in cui è stata scattata, nulla di più…quasi inutile se consideri che ciò che vedi e che senti devi viverlo ogni secondo della tua vita e che ogni minuto non è uguale all’altro… No, io non posso dire nulla dell’apprendimento dei miei ragazzi, sono loro che devono dire… perché la realtà può essere solo inventata … insieme… minuto dopo minuto…e di questa realtà io ne posseggo una parte e perché questa parte abbia senso devo ricongiungerla al tutto… e in questo tutto ci siamo tutti… Solo allora ciò che dico avrà senso...

In me c’è l’alunna che sono stata e ci sono gli insegnanti che la sorte mi ha assegnato. In me c’è un po’ di loro e della realtà che insieme abbiamo inconsapevolmente costruito.

In me c’è anche la mia insegnante di matematica del liceo. La chiamavamo Fermina (una parte del mio nickname) perché era stata allieva di Enrico Fermi e conosceva bene l’esperienza dei ragazzi di via Panisperna. Che avesse molti anni lo sapevamo tutti. Conoscevamo l’arrancare delle sue gambe nei corridoi, la sua severità, i suoi capelli bianchi da casalinga un po’ trasandata. La osservavamo mentre con cautela cercava di abbordare prima la pedana e poi la sedia, era anziana, anziana davvero. La temevamo ma la amavamo al contempo, quasi a volerla proteggere… Fermina era una tosta ma sapeva fermarsi al momento giusto… Era anziana, anziana davvero, e per questo si stancava. E non lo nascondeva. E quando era stanca incominciava a tossire. Quello era il segnale che tutti aspettavamo. Si fermava e cominciava a raccontare. E noi volevamo ascoltare le sue storie, quelle dell’università, quelle di una studentessa, figlia di contadini del profondo Sud, che aveva scelto Roma per intraprendere la sua carriera universitaria. E lei ci raccontava degli esperimenti dei ragazzi di via Panisperna e di come aveva mentito al padre su un esame che non era riuscita a superare. La fisica era lì, sotto i nostri occhi, anzi, nelle nostre orecchie, e degli atomi coglievamo il suono… e delle spiegazioni del libro di fisica non sapevamo che farcene… e lei lo sapeva…

Era anziana, anziana davvero e non lo negava nemmeno a se stessa e, dichiarando ad alta voce quello che riteneva il suo limite, ci invitava ad essere le sue mani. Nessuno si rifiutò mai di andare alla lavagna. E le dimostrazioni geometriche nascevano dalle nostre mani, le mani che sapeva sapientemente guidare a tracciare bisettrici e angoli…E fu così anche per l’algebra, per le equazioni e le disequazioni. Ed eravamo noi a portare alla luce le cose, a farle nascere. E queste cose erano più che mai nostre. Così aveva deciso Fermina, così ognuno di noi diventò protagonista.

E Fermina non ci faceva uscire se non per gravi motivi ma stare in classe con lei era un’emozione infinita. Da comparse a protagonisti. Una sfida continua. E la sfida ci piaceva.

Io non ero brava in matematica, o così avevano fatto credere a me e ai miei genitori. Poi la sorte mi assegnò Fermina. A mia madre disse che non avevo basi ma ero una che sapeva ragionare e tanto le bastava…il resto lo avrei potuto fare io e io soltanto… Il resto sono qui a raccontarlo. E aggiunse che un quattro o un sei non significavano nulla. Quello che contava era non quanto sapevo ma ciò che avrei potuto sapere. E che solo io potevo sapere dove, come e quando arrivare. A lei toccava dar tempo e fiducia. Sapeva che mi stava dando tutto, mi stava dando se stessa. Amai la matematica ma prima amai Fermina.

Fermina Daza

venerdì 13 gennaio 2012

Narrare è bello

clicca per ingrandire
I Blog hanno almeno il merito di aver dato impulso alla scrittura. Sarebbe interessante e probabilmente utile che le persone che scrivono diventassero sempre di più. Scrivere è comunicare senza perdere le nostre parole.
Da narratrice artigiana ma appassionata, ostinata e ormai di lungo corso direi che chi si accinge a narrare può incontrare alcuni particolari momenti di difficoltà e provo ad elencarne qualcuno per vedere se sia possibile razionalizzare:
A) non c’è solo un modo di narrare ragion per cui (e qui contraddico impunemente, spero, tanto strutturalismo) immaginare schemi, strutture, modelli a cui adeguarsi a volte non solo non facilita, ma impedisce la narrazione
B)  per narrare è importante prima ascoltarsi (se non ci ascoltiamo noi come possiamo immaginare l’ascolto di altri?)
C) per narrare è bello (uso volutamente questo aggettivo) immaginare un interlocutore; in questo caso possiamo sia scegliere un interlocutore da “convincere”, o con cui “condividere” perché già sappiamo di essere in sintonia, da”sorprendere”, da far “sorridere” o commuovere; e potremmo dirne tante altre.
D) se qualcuno esita a narrare ha certamente i suoi buoni motivi; uno di questi è la scuola che ci ha condizionato mettendo troppi paletti quando abbiamo iniziato a comporre i primi pensieri, temi ecc
D.1) motivo di più per contestare il nostro passato condizionato!  Se ci accorgiamo che questo è un motivo di scontentezza allora ribelliamoci perchè scrivere è bello, lasciamo da parte tutto ciò che ci pesa: (fossero pure ortografia, sintassi nonchè tutte le cose che possiamo sistemare dopo).
D.2) Partiamo leggeri e senza altro bagaglio delle parole.
E) Non esiste una scrittura che nasca perfetta; Beppe Fenoglio, un enorme narratore, diceva che “la sua pagina più spensierata” usciva da lunghi rifacimenti (non ho sotto mano la citazione completa e vado a memoria, semmai integrerò appena possibile). Lui stesso disse che scrivere era come torturare il cervello con gli spilli. E qualcun altro (Pirandello) parla di “stanza della tortura”. Dunque perchè preoccuparsi mangiucchiando la matita… ops la tastiera?
F) Gli attuali narratori di successo sono super-assistiti e tutorati da editor professionisti; io, che spudoratamente mi considero una narratrice :) )) certo non sono una da successo editoriale in libreria, infatti mi autopubblico e me ne infischio: scrivo perciò a modo mio, ma divertendomi pazzamente. E concludo citando-parafrasando Jannacci
- Scrivo anch’io? -
- sì tu sì! -
- Ma perché !? -
- Perchè sì! -

giovedì 12 gennaio 2012

COME SI CAMBIA PER RICOMINCIARE


Tornare indietro un anno un giorno per vedere se per caso c'eri…

Storie del vecchio e nuovo secolo. Storie di mondi diversi. Storie di cambiamento. Il mio.

Storia del vecchio secolo

Si tolse il cappello e lo tenne umilmente tra le mani per tutta la durata del colloquio. E con le dita nodose mi mostrò come avrei potuto picchiare suo figlio. Era un vecchio contadino e suo figlio gli apparteneva, era suo e della terra che lo attendeva. Perché il contadino è il padre e la terra è la madre, e se nasci contadino alla terra devi tornare. Ma fino a quando sei nella scuola, appartieni alla scuola, perché la scuola è come il parroco, il sindaco, la levatrice, il maresciallo dei carabinieri, il medico.

Così disse il padre dalle dita nodose. Mi strinse la mano e sparì per sempre. Da quel momento il figlio non era più affar suo. E non tornò mai a reclamare per un brutto voto o per qualche vera o presunta ingiustizia patita dal sangue del suo sangue. Perché fino a quando sei nella scuola, appartieni alla scuola, e la scuola è importante come il parroco, il sindaco, la levatrice, il maresciallo dei carabinieri, il medico. E non tornò mai a reclamare nemmeno per una bocciatura, perché una malannata può capitare, perché bisogna avere pazienza con i terreni sterili, perché il buon contadino sa attendere, perché il buon contadino conosce gli imprevisti del mestiere.

Era un contadino e suo figlio gli apparteneva, era suo e della terra che lo attendeva per ingoiarlo. E solo quando fu il momento il buon contadino venne a reclamare ciò che era suo e della sua terra. E il figlio sparì per sempre tra le zolle.

È giusto così. Questo disse il patriarca mentre si toglieva il cappello. A chi appartenevano i ragazzi quando erano nella scuola? Ai genitori? Agli insegnanti? Alla scuola stessa? Il vecchio patriarca “sapeva le cose della terra” e non “le cose alte” e solo le cose della terra poteva e voleva insegnare a suo figlio. Alla scuola toccava prendersi cura delle cose alte, di quelle che ti consentono di mettere una firma, di leggere un contratto, di fare una dichiarazione, di capire un imbroglio, le cose alte su cui non puoi lavorare con la zappa.

Era così che la vedeva il patriarca che conosceva meglio di me, insegnante di ventiquattro anni, il mondo. Ed era uno che aveva rispetto per i maestri e per la scuola, per i contadini e per i campi. A ciascuno il suo, mi disse, chè a piantar cicorie tu non saresti capace, né a dire quando si raccolgono i finocchi.

Queste le parole del patriarca contadino che, guardando i libri, mi raccontava che a casa sua di tempo per leggere non ce n’era.


Storia del nuovo secolo

Il bidello mi corre incontro. Ha il baffo trafelato e l’occhio compassionevole di chi annuncia l’ennesimo cahier de doléance.

Prof, c’è la mamma di F.T. che vuole parlare urgentemente con lei! Con fare protettivo mi propone un eventuale depistamento. Le dico che non può riceverla? Sarei tentata di soddisfare il suo istinto paterno ma la mamma di F.T. non può attendere. Arrivo subito, gli rispondo. E così il baffo trafelato perde improvvisamente di tono e il sopracciglio lo segue a ruota inabissandosi sulla palpebra.

Si allontana un po’ più curvo del solito, ormai rassegnato ad assistere ad un’altra storia da tribunale in cui l’accusatore è anche giudice. E il giudizio spesso si tiene in pubblica piazza, davanti agli occhi di tutti, perché in televisione si fa così. Un processo che diventa spettacolo.

Ma io so che non farò processi e non ne riceverò. E mentre saluto la mamma da lontano, penso che la scuola è fatta di alunni, di docenti e di genitori trasparenti gli uni agli altri. Ci sono tutti gli ingredienti per confezionare una buona torta ma ciò che si tira dal forno è spesso e volentieri solo una grossa bolla d’aria, un sufflè destinato a perdere di tono come il baffetto del paterno bidello.

Stringersi la mano è stringere un patto, un patto di alleanza.

Io e la mamma di F.T. organizziamo un incontro rivolto a tutti i genitori della seconda. Un incontro informale, di quelli che non prevedono il finanziamento pon o pof, un incontro libero per decidere insieme il curricolo formativo e le modalità di partecipazione di ciascun genitore alle attività di classe. Un percorso comune e condiviso davvero.

Un incontro libero dettato non dalle logiche del pon e del pof ma dal bisogno di conservare la cultura continuando a creare culture. E i genitori sono culture. E le culture hanno difficoltà a trovare spazi che permettano una partecipazione attiva. È per questo che le culture vanno ospitate ed aiutate a costituire una rete che possa dare un grande contributo al cambiamento. E tu stessa devi essere cultura.

E nessun dirigente scolastico si opporrà all’idea di conservare la cultura creando le culture, soprattutto se la cosa si fa gratuitamente. E non la si fa gratuitamente perché si è fessi. La gratuità è il “prezzo” che si paga volentieri per poter essere liberi di provare a cambiare.

E il cambiamento inizia proprio lì dove operiamo. Nel concreto.

Fermina Daza

martedì 10 gennaio 2012

A volte ritorno

Narrare costa. Specie se si narra emozionandosi, senza paludarsi di vesti ufficiali, mettendosi in gioco e accettando che gli altri ci vedano diversamente da come vorremmo.
I primi che non sempre ci vedono come siamo sono proprio i nostri figli se siamo genitori, i nostri ragazzi se siamo insegnanti, i nostri giovani se siamo adulti. E non è un piccolo particolare.
Per anni ci è stato detto che anche l'insegnante è un professionista, che deve usare tecniche di insegnamento, che deve razionalizzare i suoi strumenti, e potremmo lungamente elencare altri ragionevoli e buoni motivi per cui il nostro dovrebbe essere un lavoro come tanti, eppure molti di noi sanno di non aver scelto questa professione dopo una lunga e lucida analisi del mercato del lavoro.
E allora a me è sembrato, leggendo il post di Gianni Marconato, che una risposta su com'è il "bravo prof", si debba cercare  anche frugando a ritroso come dire... spudoratamente.
E con queste parole, tanto per esser coerente, ho cercato di spiegare il senso del mio post precedente, andando a ritroso.
E’ giusto cercare di guardare avanti, di vedere lontano, di prepararsi al futuro. Ma volte si deve esser disposti camminare all’indietro, la vita vera è fatta anche di ritorni, ed io, spesso, ritorno.
Questa volta sono ritornata in un luogo ancora famigliare, sono rientrata nel ning Lascuola che funziona con uno scopo che considero utile: raccontare. 

Narrare è possibile. E qualcuno deve pur farlo.


NEFERTITI DELL'UPIM


La chimica non mi piaceva. Anzi, per farla breve, non mi piaceva l’insegnante di chimica.Dopo la laurea in lettere, un po’ per gioco e un po’ per sfida, mi iscrissi alla facoltà di medicina. E finalmente riuscii a sentire il suono delle formule..Bellissimo…

Dal mio diario di studentessa.

2 maggio

Non mi faccio illusioni, i voti parlano chiaro… il problema c’è ed è la chimica…, o meglio, l’insegnante di chimica.

Nefertiti ha due occhi piccoli che si ostina a marcare di nero, un trucco fatto a memoria con la matita dell’upim. Le sbavature, sempre quelle, sempre nello stesso posto.

I pigmenti di colore le si siano insinuati indelebilmente nelle pieghe delle rughe, tanto indelebilmente da scenderle fino al cuore, nero anche lui. Della regina egizia non ha né lo sguardo fiero né il portamento principesco, solo il bistro a fare da cornice alla sua inutile esistenza.

Sì, un’esistenza passata a sgranare rosari di acidi e di basi, a congiungersi con carbonato di calcio e con i gruppi ossidrilici. E la lavagna a far da ruffiana, mentre Nefertiti, volgendoci le spalle, traccia segni per me arcani. Non c’è senso in quello che io ascolto perché non ha senso quello che lei dice. Però, a pensarci bene, un senso ce l’ha. E’ il senso di morte che provo mentre copio formule su formule.

Questa non è la vita che vive, è la vita che muore...

Penso a Cagliostro, a Calandrino e alla pietra dell’elitropia, penso alla vita che scorre nella pietra carsica, alle nuvole … perché le nuvole non sono solo quelle elettroniche… Il lavaggio del cervello è una tortura a cui puoi sottrarti solo se ti inventi un altro mondo in cui stare in santa pace. Il mio si chiama alchimia… la grande madre…

Nefertiti si definisce un’ insegnante aggiornata. È l’unica ad usare il laboratorio di scienze. Va molto fiera di questa cosa. Ha fatto arrivare dagli Stati uniti dei libroni bilingue sulla cui traduzione italiana abbiamo più di un legittimo dubbio. Ci sta tormentando con gli acidi e le basi. Sono il suo pallino. Peccato che non siano il mio. Io mi sto chiedendo se la chimica la conosca davvero o se non si tratti di una qualche demoniaca possessione.

Sempre più spesso rifletto su una cosa: è l’insegnante a possedere la materia o è la materia a possedere l’insegnante? Neferiti è posseduta dalla chimica. Spiega in stato di trance. La chimica le dà la vita togliendola a noi.

Accidenti a lei e al suo bistro nero che si confonde con l’ardesia.

La pervade un piacere immenso mentre fa lezione solo per se stessa. Noi siamo dietro di lei a far da spettatori… La classe è un pretesto, la scuola è un pretesto. A lei servono solo degli spettatori pazienti e muti…

Anche Barbaetutto il secchione è in difficoltà. Anche lui arranca, come tutti noi. A salvarsi solo i memorizzatori, ma in classe ce ne sono pochi.

A Ulianova di greco e latino, bolscevica e lapidaria, non piace il bistro... Ubi maior minor cessat… Chi mai sarà il maior e chi mai sarà il minor? La risposta l’avremo sui quadri.

Oggi, comunque, mi ha beccata e quando mi ha contestato di essere lenta e meccanica, le ho risposto che ritenevo di avere il diritto di essere lenta e meccanica, visto che stavo imparando, visto che non avevo la laurea in chimica, visto che ero in un liceo classico, visto che mi sfuggiva il senso del fare chimica, visto che non avrei mai insegnato chimica, visto che l’ipoclorito di sodio non suonava come il πάντα ῥεῖ…insomma, ci ho messo del mio, ma anche lei ci ha messo del suo...

Nefertiti, dal cuore nero come il bistro da upim che spalma a memoria intorno agli occhi, mi ha risposto che la scuola poteva fare anche a meno di me... Se mi avesse spiegato il suono della varichina forse non sarei qui a scrivere… Beh, almeno una cosa la devo riconoscere: ha parlato chiaro, questo è certo... E tanta chiarezza meritava una risposta altrettanto chiara.

Mentre deponevo il gesso sulla cattedra, le ho chiesto che suono avevano le ustioni... lei lo doveva conoscere bene quel suono, visto che aveva cosparso di acido acetico il viso di una compagna svenuta.

Proposta di sospensione, la mia, annotata sul registro di classe.

Se io non sono una buona alunna (possibilissimo), lei non è una brava insegnante (certissimo).

Ubi maior, minor cessat. Chi è il minor? Non c’è bisogno di aspettare i quadri.

Quella piccola piccola è lei. Peccato, insieme avremmo potuto essere grandi...

20 giugno

Sono stata promossa. Siamo stati tutti promossi. Ubi maior, minor cessat... Ma la cosa non mi consola... continuo ad odiare la chimica...ed il bistro.

A proposito, che formula avrà il colore nero?

Fermina Daza

lunedì 9 gennaio 2012

IDENTIKIT di un bravo docente - Mariaserena Peterlin

Non seguono, si distraggono, stanno con la testa tra le nuvole, non si applicano.”
“Se non attirate l’attenzione non potete pretendere che i ragazzi vi stiano a sentire!
Così risponde un genitore al diluvio di contestazioni, non proprio inedite, di alcuni colleghi del consiglio di classe.
 “Beh, mica posso attirare l’attenzione mettendomi a ballare sulla cattedra
risponde ironica una giovane insegnante. Tutti sogghignano.
Mica dicevamo di lei!” sbotta uno studente, “a lei la seguiamoQuando lei spiega noi stiamo attenti.”
In effetti la giovane insegnante aveva probabilmente lanciato la provocazione anche per spezzare quella contesa un po’ triste, e tutto sommato forse inutile.
Anche io mi accorgo che non sono attenta durante questo cdc. Sono presente solo fisicamente, ma mi tornano in mente le mie lezioni universitarie; seguivo “Letteratura Latina Medievale”, il corso era tenuto dal Prof. Nino S. un medievalista poi diventato importante allora ancora giovane e non molto conosciuto. Nino S. aveva una straordinaria cultura, ma non era fascinoso ed eloquente come molti altri dei suoi colleghi. Durante le sue lunghe lezioni pomeridiane tenute nelle aule in cui baluginavano le incerte luci dei tramonti romani, tra pareti antiche e grigie e scomodi scranni antiquati molti miei amici di corso si annoiavano, trattenevano gli sbadigli, pensavano ad altro. Frequentavano per avere la firma (allora si usava) sul foglio delle presenze e poter, quindi, sostenere l’esame, ma trovavano monotone, pallose addirittura quelle lezioni. 
In effetti il professore aveva un leggero problema di dizione e a volte incespicava nelle parole, inotre si addentrava in digressioni complesse che facevano perdere il filo ai presenti. Ma mi sembrava che ognuno degli altri fili che si dipanavano dal suo discorso conducesse al sapere. E non mi annoiavo per niente, anzi mi ero affezionata a quelle imperfezioni formali che racchiudevano, per me, mappe luminose di cui impadronirsi per continuare la ricerca.
Mi piaceva, perché era un insegnante a cui potevi sempre chiedere un approfondimento, una spiegazione e che, pur tartagliando appena, apriva prospettive in una materia di cui prima non sapevo nulla o avevo solo nozioni conformiste e da manuale scolastico.

È dunque importante che un insegnante sia popolare ed apprezzato? Deve fare, anche lui, audience? Quale dev'essere il suo identikit per poter esser classificato bravo docente?
Proviamo:
AAA: cercasi docente convincente, chiaro, affascinante, attraente, speculum iustitiae? Oppure esigente, severo, autoritario, formale? O ancora: alla mano, scherzoso, un po’ cazzeggiante ma bonario e indulgente? Oppure?
Un artista, un artigiano, un genio, un faticatore, un indefesso cultore della sua materia, un tuttologo?
Signori dell’alchimia, aiutateci a trovare la formula. Ma servirà poi a qualcosa?
Insegnare non esiste senza l’imparare. Insegnare implica un rapporto: si riesce a costruirlo? e come si fa?
Difficile farlo da soli. E allora? Chi è un bravo Prof?


Ragazzi, forse dovete metterci qualcosa anche voi. 

domenica 8 gennaio 2012

Roba da insegnanti? di Mariaserena Peterlin

Elenco di frasi che dicevano (e forse dicono?) prof e maestri, e che qualcuno, bene o male, trascrisse...


Frasi che dicevano prof e maestri
Tanti... Io ho spiegato, quindi ho fatto il mio lavoro”
Lezione di Filosofia: Tu leggi, tu ripeti”
Lezione di Matematica: Vieni alla lavagna tu che sei bravo! e spiega a queste capre”
Lezione di Italiano: ma che ne sapete voi della poesia?”
Lezione di Educaz. Fisica: Il/la prof obeso si spalma sulla sedia e inizia: uno, due, tre e quattro: coraggio!!”
Lezione di Chimica : - Hai portato le liquirizie?- ” (Giuro che è vera, io le portavo)
Latino: Se anche uno solo capisce, vuol dire che io mi sono spiegato”
Filosofia : Non è vero che non avete capito, fate finta di non capire”
Italiano: C’è chi è nato per studiare e chi per zappare”
Scienze: E’ nato imbianchino? faccia l’imbianchino”
Maestra elementare: La scuola non è per tutti”
Mate: Tu la matematica non la capirai mai”
Lettere: Non sai fare il tema? Sforzati”
“Compito di lingua straniera: ogni errore 2 punti, e un accento sbagliato è un punto in meno!”
Preside : Fai venire i tuoi genitori: tutti e 2!”
Maestra : Stai male? e perché sei venuto a scuola?”
Francese : Vuoi andare al bagno? Ma a casa non hai il gabinetto?”
Tutti e anche i supplenti : Voi non capite che sacrificio sia insegnare!”
 “Maestra: Vuoi che i genitori si vergognino di te?”