chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

domenica 27 novembre 2011

Papà, mi leggi? - Del leggere ai bambini, come un dono - di Mariaserena

Papà, mi leggi?
E lui prendeva il libro dallo scaffale, accendeva la lampada e la posizionava in modo che la luce battesse sulle pagine e non sui miei occhi, si sedeva accanto a me e leggeva. Di solito accadeva la sera. Anche mamma mi leggeva. Entrambi amavano la lettura e il rito del libro illustrato, adatto ai bambini, regalato a Natale o acquistato per qualche occasione, ma sempre letto con cura. Letto, riletto, imparato a memoria qualche volta.
Soffrivo di mal di testa anche da ragazzina e i medici, trovandomi sana, ne davano la colpa allo sforzo per leggere. Così erano frequenti le visite dall’oculista che mi prescriveva le gocce di atropina da mettere prima della visita e che lasciavano la pupilla dilatata anche per un paio di giorni.
In quelle occasioni mi leggevano anche quando ero abbastanza grande da leggere da sola.
La tenerezza di quei gesti mi è rimasta nel cuore, è un tesoro inestimabile che porto con me e che riaffiora forse troppo di rado.
Dedicare il tempo ai bambini significa anche lasciare tracce e solchi fondamentali. E mai ho usato con più consapevolezza queste parole.
Tracce e solchi fondamentali.
Tracce impresse per sempre con le parole, le immagini suscitate, le suggestioni che la voce di mamma e papà che “mi” leggevano e suscitavano mente loro intenzionalmente  interpretavano il testo per me e gli davano vita e colore.
Solchi fondamentali: solchi per seminare, per impiantare nuova vita; solchi come fondamenta per le costruzioni del futuro, di visioni, di sentimenti, di modi di sentire.
Quei libri erano belli, emozionanti, divertenti.
Non me li sono dimenticati.
Ho letto anche io per le mie figlie, per i miei nipotini.
Forse non se ne dimenticheranno nemmeno loro.
Forse per questo ho messo nelle tasche del mio papà che se ne andava una lettera.
Parole avute, parole restituite per sempre.
Leggiamo le parole ai bambini.
Bambini, genitori di bambini, ascoltate chi ha vissuto prima di noi, leggete insieme i doni della narrativa, dei grandi narratori.
Ascoltateli dalla voce dei vostri cari.
Viveteli insieme, dureranno per sempre superando le miserie nostre e altrui; andranno ben oltre la precarietà del nostro presente.
 E potrete fare a meno dei videogiochi che vi tolgono affetto e vi danno in cambio solo emozioni virtuali e dopate.

martedì 15 novembre 2011

Il mio nuovo manifesto? Insegnare non è da tutti - di Mariaserena Peterlin

Rosso e Blu? non bastano
Insegnante, un difficile mestiere


No, non basta mettere pietre miliari sul nostro cammino, è necessario anche proseguire e cercare nuove strade. E per trovare una strada è necessario sapere dove voler andare e guardarsi intorno.
Dal mio osservatorio guardo, vedo, cerco di capire. E mi sono formata qualche opinione che sono pronta a discutere. Una di queste opinioni è che insegnare sia un difficile mestiere, e quindi un mestiere non da tutti.
Non è una cosa nuova? Non importa, io provo anche a dire perché.

martedì 8 novembre 2011

Insegnare per rasserenare - di Mariaserena Peterlin

Penso al lunedì: un giorno per ricominciare. A scuola giorno della ripartenza: non meno faticoso che altrove. Però qualcosa scattava quando sul marciapiede dell'Arangio R. avvistavo gli indecisi no, oggi non entriamo o sentivo le risse verbali sulle sorti della Roma o della Juve. Qualcosa iniziava a farsi strada, nei miei pensieri, se vedevo stracchi colleghi senza un perchè caracollare verso gli scalini o le colleghe, beate loro, pimpanti in tailleur e messimpiega fresca ticche-tacche sgonnellare nei corridoi.
Era allora che sorridevo e spolveravo il cuore e la gola per trovare qualche nota ben accordata ed entrare in classe.
Una volta chiusa la porta dell'aula tutto cambiava. Il senso del viaggio e dell'esperienza di vita mi invadevano; mi sembrava di ricominciare un cammino che nessuno aveva diritto di interrompere. Mi sembrava che tutto potesse essere superato e che la nuova tessitura ben ordinata stesse per iniziare. A volte le interruzioni arrivavano con i ragazzi ritardatari o le circolari incomprensibili. Piccole noie trascurabili, come quelle che infastidiscono qualunque lavoro. 
In quell'alchimia io credevo; in quella euforia di rimbalzi e rimpalli di pensieri che si genera quando le menti si incontrano e i sentimenti si accostano senza lasciarsi palesare.


Credevo anche in una mia pragmatica utopia: avrebbero comunque appreso qualcosa da me, non li avrei lasciati esenti e indifferenti, e anche se non coinvolti, non li avrei tuttavia lasciati immodificati. 
Almeno un pensiero, un dubbio, una reazione la avrei suscitata. 
Altrimenti perchè sarei rimasta là, in aule appannate dalla polvere e dal sudore, a spiegare per lunghe ore mentre la voce si incrinava e le speranze si impennavano in una ansia crescente? 
Perchè coltivare l'illusione che far scoprire in sè strumenti e talenti possa rasserenare e rendere più forti, e non far pensare solo alla scadenza del pagellino?
La scuola può essere anche poesia. Armonia. E confermo.