chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

mercoledì 30 marzo 2011

Parole in gioco e allo specchio - di Mariaserena Peterlin

Scrivere è dare un senso alle parole:
è come cercar ombre nello specchio.


Scrivere è dare un senso alle parole
giocando a "io sono il re e tu sei il cavallo",
fingendosi un eroe, un navigatore
un principe, un serpente oppure un gallo.
Scrivere è immaginare di capire
che il recto e il verso sono disuguali
ed ancora è aver voglia di scoprire
la fine, sempre prima dei finali.
Immaginando con le tue parole
componi frasi come note in fila:
trovane i suoni e troverai anche il senso
non uno, ma due…centottantamila.


Scrivere è dare un senso alle parole:
è come cercar ombre nello specchio,
rivoltarle e piegarle da ogni lato
bagnandole di lacrime e di pioggia.
E’ poi asciugarle con polvere solare
per scoprire le tracce che hai nel cuore,
ma trovi gli echi che non ricordavi.
Le togli dalle labbra e sulla carta
riscopri il suono delle più dimesse.
Immagina e vedrai, camere oscure
dove il colore audaci scherzi gioca.
Scrivi parole, senza aver paura.
Mariaserena , 30-03-11

martedì 29 marzo 2011

Scrivere per gioco - di Mariaserena Peterlin

Qualcuno sa spiegare perchè a scuola sono codificate come 4 abilità fondamentali "ascoltare, parlare, leggere, scrivere" e non anche "giocare"?
I soloni dell'istruzione non immaginano che chi non gioca non vive? Forse non conoscono il significato profondo della parola giocare.


Scrivere è una sfida. Lo è ancora di più quando, come accade su web, si scrive e si pubblica, e si esibiscono a possibili lettori anche completamente sconosciuti, i nostri pensieri e parole.
Il gioco delle parole è tuttavia il più bello del mondo, specialmente quando non ci prendiamo troppo sul serio. Come vorrei fare qui.
Come fa un gatto che si finge indifferente, ma non lo è. Mai. Ed è teso a cogliere la preda.

Scrivere è una sfida
disinvolta e perduta,
Come fa un gatto che si finge indifferente
scrivere è una ricerca      
distratta ma ostinata,
scrivere è un’intenzione
presuntuosa e nativa
di trovare se stessi
in verbi ed aggettivi
consumati dal tempo
indifferenti all’uso.
Si lasciano trovare
pronomi, avverbi e accenti
si lasciano accorciare
ed anche reinventare.
Sono solo parole
che l’uso un po’ ravviva
non sono cosa viva
sono un momento. E stop.
Mariaserena,  29-03-11

sabato 26 marzo 2011

Mini elogio dell' "UTILITA' " - di Mariaserena Peterlin

collegare, unire a patto di essere utili e
 costruire: come un'Ape operaia

Dicono che un buon maestro non si dimentica. Non è del tutto vero; però è certo che quando ne dimentichiamo le parole, ci rimangono le sue lezioni di vita: quelle che ci indicano la strada che trasforma in donne o uomini. Ma per riuscirci dobbiamo metterci tanto lavoro.
Dicono invece che il re Mida trasformasse in oro quel che toccava con le sue mani e che a causa di questo sia diventato infelice, e affamato. Se lo meritava.
Ho conosciuto persone che invece riescono a trasformare tutto in spazzatura. E perfino i valori più seri in inutili declamazioni. (La pace, la solidarietà, i diritti… ecc)
Conosco altre a cui la stessa pratica riesce benissimo col nulla: qualsiasi discorso diventa vuoto e inutile con loro
Però esiste anche il magico WEB che trasforma le dolci parole più banali in “post”: ed è subito link.
Non dimenticherei, tuttavia, il messaggio razionalista che invita a riflettere sull’utilità. Link e citazioni hanno un senso se sono utili. Altrimenti? 
No buoni!
J

domenica 20 marzo 2011

NO WAR - RIPUDIAMO LA GUERRA, TUTTE LE GUERRE

Elsa Morante lo dedica "all'unico pubblico che ormai sia forse capace di ascoltare la parola dei poeti"

Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

I padri costituenti sono stati illuminati e saggi quando hanno scritto l’articolo 11 che dà, come molti altri, prestigio alla nostra Carta Costituzionale. L’hanno scritto ispirati e forti di una coscienza plasmata anche dalla comune tragedia della II guerra mondiale e delle sue lunghe e terribili conseguenze pagate con il sangue di troppe vite umane.
Quella tragedia li aveva, come sappiamo, profondamente coinvolti, aveva segnato per sempre le loro vite personali ma anche quelle dei popoli trascinati nel conflitto.
Lungi, infatti, dall’ideare un libro dei desideri, hanno scritto dando voce e anima anche a quei nostri morti (i morti sono sempre di tutti) che ci ammoniscono ancora.
Leggendo l’Articolo 11 non si ascoltano dunque solo le buone e oneste voci di maestri di vita, ma dovremmo sentire invece la voce di chi ha pagato innocente o di chi ha provato cosa significa la disperazione della guerra.
Eppure noi non li stiamo ascoltando.
Ma opporsi alla guerra è necessario.
Le ragioni di chi ha voluto l’attacco sulla Libia sono tante, ma la guerra non si evita cercando di prevalere con altrettante, più o meno forti, ragioni.
La guerra, come ci hanno insegnato i padri della Costituzione della Repubblica Italiana, deve essere evitata ripudiandola, ossia rifiutandola per un principio che è baluardo di civiltà.
Dobbiamo evitarla e trovare gli strumenti per farlo. Dovremmo accorgerci dell’inganno nascosto dietro la falsa soluzione dell’entrata in guerra.
Sappiamo che l’inutile strage, non risolve le controversie internazionali, ma le estende; che sconvolge equilibri imperfetti, ma ne crea altri; che i vinti non si pacificheranno e che gli eventuali vincitori non scamperanno alle vendette.
Sappiamo che non saranno i popoli a giovarsi della guerra e che i nostri figli (anche i figli dobbiamo sentirli di tutti) possono essere tra i giustizieri come tra le vittime. Perché accettare tutto questo?
Sappiamo che si decide di iniziare un conflitto a tavolino, ma che si chiude (seppure lo si chiude) contando i morti.
Perché dobbiamo ancora una volta subire le logiche dell’interesse, dell’intolleranza, dell’ingiustizia, del razzismo, del massacro e non attuare vie diplomatiche?
Perché rinneghiamo la voce della nostra Costituzione?
Ma se la ragione non è ascoltata proviamo ad ascoltare la voce delle vittime, una voce  che parla al cuore. O ma molti uomini non hanno più cuore? 
Noi, invece, lo abbiamo. 

20 marzo 2011, Maria Serena Peterlin

venerdì 18 marzo 2011

Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò? di Mariaserena Peterlin

Inno con testo completo

Nel fervore patriottico-nazionale suscitato in Italia dalle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità del suo territorio radunato, tra moti di indipendenza, guerre di conquista, insurrezioni e annessioni, sotto lo scettro monarchico del Re galantuomo Vittorio Emanuele II Savoia, abbiamo ascoltato e riascoltato l’Inno di Mameli, o Inno d’Italia come ormai abitualmente si definisce.
L’Inno è stato modulato con nu pocolillo ‘e voce commossa nella performance sanremese di un noto comico toscano, è stato anche rappato da Fiorello (in altro spazio tv), ed anche declamato e spiegato da musicologi e storici del Risorgimento, ma non solo.
Ha rappresentato un metro di valutazione della fede di italianità e di educazione civica di persone (di una certa sociale importanza). Le sopracciglia italiane si sono aggrottate in sù a proposito di interrogativi fondamentali:  il calciatore X lo ha cantato? e la sindaco Moratti? e… i leghisti lo canteranno? 

Bossi no, ma si è alzato in piedi ed ha applaudito. Sollievo.
Insomma ma ‘ndò haway se l’inno non lo canterai? 
Nel frattempo molti bravi italiani si sono spolmonati, tra manifestazioni piovigginose, ma piene di fervore,  fuochi d’artificio o imbandieramenti di edifici.
Ho visto, inquadrate in tv, persone di tutte le età: anche bambini, innocenti, che convinti ed allegri-commossi cantavano con la mano sul cuore: “che schiava di Roma Iddio la creò”.
Più di tutti mi ha colpito un gruppo di signore d’età,  mamme e nonne, vestite con tutta semplicità, donne con le loro belle facce naturali (di quelle che si dedicano agli altri, alla famiglia e al lavoro da sempre; di quelle ancora capaci di mandare avanti la vita) ebbene anche loro con la mano sul cuore cantavano.
Cantavano versi stentorei “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte / siam pronti alla morte / L’Italia chiamò!  SÌ !!
Faccio fatica ad esultare. 

Certo, tutto ha una logica: la rievocazione storica, la festa per l’unità nazionale sviluppata, dalla pubblica opinione, anche in chiave anti-leghista, il messaggio che cerca di dar vita ad un'Italia nuova e ripulita dalle anomalie: capisco tutto. 
Ma non mi sento particolarmente commossa. Rispetto le opinioni anche se non possiamo nasconderci che uno studio più attento della nostra storia potrebbe indurre a moderate riflessioni.
Mi chiedo tuttavia se siamo davvero tutti convinti, anche in considerazione dei recenti lutti nelle missioni all'estero, e tenendo conto della situazione del Mediterraneo (che potrebbe diventare teatro di una guerra che, come tutte le guerre si sa quando inizia ma non si sa se e quando e come finisce)  se davvero tutti noi possiamo spensieratamente cantare “siam pronti alla morte, l’Italia chiamò” (e cancellare l’Italia che ripudia la guerra, l’Italia pacifica eccetera eccetera, non ne parlo, non so a chi interessi ancora).
Possiamo cantare “siam pronti alla morte”, e dirci convinti di una guerra e della morte guardando negli occhi i nostri figli? 
Non nel mio nome. Per piccolo che sia. 

martedì 15 marzo 2011

Giappone: Per voi, che dallo schermo vedete.

LINK La Testa Pensante: Per voi, che dallo schermo vedete.:

"No, voi non scrutate i loro visi
né fissate con occhi sorpresi
per cercare le tracce
di un dolore esibito.
L’ipocrita sorpresa
non vi coglie a fissare..."

lunedì 14 marzo 2011

Della povertà e dell'amore - da una frase di J.Roth - di Mariaserena Peterlin

"Certe persone sembrano di valore soltanto perché povere, e a un morto di fame si è propensi ad attribuire una capacità creativa, che in realtà è pura miseria. La grande ingiustizia dell’ordine mondiale ci induce a conferire ai poveri anche dei meriti, mentre già da sola la povertà sarebbe motivo sufficiente per farci amare chi ne è colpito." (Jospeh Roth, Perlefter - Storia di un Borghese in Fragole, Adelphi, 2010)

Non sempre è corretto estrapolare una citazione da un libro. A volte tuttavia accade che uno scrittore ci proponga un’affermazione di carattere generale in un racconto complesso, nel quale il quadro di riferimento e i personaggi sono archetipi che possiamo tuttavia incontrare ogni giorno anche se ciascuno in sé è genialmente delineato.
La frase di Joseph Roth è tratta da un romanzo, che secondo le intenzioni dell’autore doveva essere il più bello da lui mai scritto, ma che rimase inedito ed è stato recentemente pubblicato da Adelphi.
La riflessione sulla povertà, e su come questa è percepita da chi non è o non si sente povero, è davvero potente e disarmante e mostra una verità che potremmo spesso osservare anche intorno a noi. Noi tendiamo a voler bene a un povero “che se lo merita” o al quale possiamo attribuire un talento, una qualità particolare. Questo accade non solo per la povertà dovuta a mancanza di mezzi, ma anche per la povertà spirituale o della saggezza e della ragione (comunemente intese). Si propende dunque a cercare una giustificazione di quella povertà che, pensiamo, non ci riguarda. No, noi non siamo così poveri! Ma quel tale (o quella tale) pur essendo povero ha dei meriti (è abile, è virtuoso, ha talento, sa presentarsi, è capace).
Ed è in virtù di quel merito che gli riconosciamo noi ,  può essere amato: “mentre già da sola la povertà sarebbe motivo sufficiente per farci amare chi ne è colpito. (Joseph Roth). 

sabato 12 marzo 2011

SIMPATICHE CANAGLIE o NATIVI (digitali?)




L’abbinamento tra l’immagine del bambino e le diavolerie delle scoperte tecnologiche, non è una novità. Ovviamente i bambini, come componenti importanti della società, sono coinvolti in tutti i sensi da tutte le  diverse evoluzioni: da quelle del costume alla tecnologia, dalla dietetica alla moda, dalla condizione famigliare alla tecnologia ai gusti musicali, ai giochi e via dicendo.
Altrettanto ovviamente scatta il confronto tra l’altro ieri, l’ieri e l’oggi e insieme a questi si propone l’interrogarsi sul domani.
Oggi la questione dei nativi digitali assume una risonanza più estesa probabilmente perché più estesi e diffusi sono i media; e anche perché l’argomento piace e fa audience. Del resto fa audience anche occuparsi dell'abbigliamento degli animali domestici.
Staremo a vedere: per adesso accettiamo pure, tranquillamente e in pace, l’invasione dei soliti noti e degli esperti di turno che dilagano e dibattono: è inevitabile che accada.
Direi che possiamo smaltire anche questa fase. L’umanità ha robusti problemi di cui potrebbe occuparsi, ma se preferisce interrogarsi sul nativo digitale lo farà comunque. Il trendy è trendy e lo show deve continuare.
Sono stata recentemente invitata da una mia nipotina alla sua festa di compleanno, con tutti i suoi amichetti, che si è regolarmente svolta da MacDonald’s: trendyssima. Tutti bambini di otto anni, scatenati nel gioco, curioso e chiacchieroni. Le bambine chiedevano “hai invitato tutti i maschi?” e i maschi si facevano avanti e porgendo il regalo dicevano autorevoli “Questo ti piace di sicuro”…
Ma lasciamoli in pace, ho pensato, perché da adulti assumiamo sempre la modalità “ti classifico e ti giudico”?
Ne sono uscita lievemente frastornata dal loro furibondo entusiasmo, ma felice; mi è venuta voglia di leggerezza, di empatia serena: questo mi ha fatto spunta nella mente un parallelo che trovo soavemente ironico e divertente tra i ragazzini di adesso ed il bambino simpatica canaglia 
Spanky, alle prese, insieme alla sua banda, con la “sua” rivoluzione tecnologica quella, per intenderci, della formidabile Ford, modello T.

Insomma la mia ipotesi è che siamo, o siamo stati, tutti nativi. Tutti  mutiamo. Alcuni dei NATIVI sono solo nati, altri ancora vivi, altri presentabili o simpatiche canaglia, parecchi contaballe, altri rompiballe e ciascuno ha i personali nativi di riferimento indispensabili; ma per quanto si parlerà ancora di quelli digitali? Lo chiediamo all’Unione dei consumatori? Anche no.






venerdì 11 marzo 2011

Stéphane Hessel : Indignez vous (Indignatevi) - CREARE è RESISTERE - RESISTERE è CREARE

Stéphane Hessel



 Ho comprato questo libro all'Ufficio Postale. Lo dico perché sono contenta che sia rintracciabile ovunque. Costa  5 euro, consta di 61 pagine che comprendono anche le Note, l'Appello dei Resistenti alle giovani generazioni - 8 marzo 2004 (di cui Hessel è uno dei firmatari), e le Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata il 10 dicembra 1948 dall'Assemblea delle Nazioni Unite.
Il testo di Stéphane Hessel è contenuto in 25 pagine, il libro è in formato pocket. Qualcosa da tenere in tasca per sentirne la presenza e il monito.
Hessel pone questioni semplici ma fondamentali.
Il libro è recensito ovunque e questa non vuol essere una recensione, ma un atto di stima ed affetto per una persona che non conoscevo, che esprime pensieri che condivido, che riassume tante idee che sentivo da tempo anche mie e sono contenta di vedere testimoniate così autorevolmente.
Ne trascrivo dunque solo alcune brevi frasi invitando tutti a leggere interamente il testo.
La prima riguarda il fatto che non si è fatto nulla per ridurre la povertà nel mondo.

Il mio grande rammarico è che né Obama né l'Unione Europea si siano ancora manifestati per quello che sarebbe dovuto essere il loro contributo a una fase costruttiva, appoggiandosi ai valori fondamentali

La seconda arriva forse inaspettata a chi è abituato a considerare, da vero conformista, l'anziano come  una persona incapace di interpretare il presente. Leggete per favore.

... continuiamo a invocare una vera e propria insurrezione pacifica contro i mass media, che ai nostri giovani come unico orizzonte propongono il consumismo di massa, il disprezzo dei più deboli e della cultura, l'amnesia generalizzata e la competizione ad oltranza di tutti contro tutti.  A quelli  e a quelle che faranno il XXI secolo diciamo con affetto:

«CREARE è RESISTERE
RESISTERE è CREARE» 

giovedì 10 marzo 2011

Volare nel Web, ma senza finire nella rete.

PENSARCI BENE


Stare su internet sfruttando questo megafono comunicazionale potrebbe indurci a esprimere un pensiero proprio, una personale opinione. Perché no? 
Ma non sempre è così; di solito si linka e ci aggiunge a una filiera di opinioni pre-confezionate e la riflessione sull'opinione, e su come si forma, rimane ai margini.
Dal mio piccolo osservatorio personale faccio un po' di birdwatching e mi pare che la fauna avicola: simpatica, zampettante e stagionale abbondi; qualcuno getta due briciole e il volo planato arriva. 
Mi piace, dissento, consento, rilinko, commento, condivido… rubo! 
Condividiamo, infatti, anche un lessico standard e che man mano si è consolidato.
Questo va benissimo specialmente se ci aggiungiamo qualcosa di nostro, il che non è affatto scontato.
Sarebbe utile, infatti, d’occhio l’insieme. 
I giornalisti dei media tradizionali sono spesso bravi e brillanti professionisti, i politici (di qualsiasi colore e casacca),  il premier e i leader, le associazioni di industriali e di categorie ecc ecc ci lanciano le briciole  della loro interessante e interessata presenza: è ben difficile che non antepongono l’interesse del cacciatore di consenso a quello degli uccelli: di passo, di palude, di mare, di rovo, di bosco o di voliera. 
E la nostra rete, che immaginiamo libera, diventa trappola e recinzione. 

Non sono “loro” siamo noi che dovremmo aver testa e pensiero. 
Chi, infatti, ha testa e pensiero si interroga. 
Ma chi invece sceglie di volare senza attenzione rischia di invischiarsi o di finire in gabbia dove parteciperà al cinguettante, e a volte lezioso, coro di chi si interroga sui soliti problemi dell'altro ieri, sulle mezze stagioni e l'acqua tiepida (digitale o analogica?). Allora non so quanto si meriti il nostro/mio sostegno per minuscolo possa essere.
Io spensierata, disobbedirei. E disobbedisco svolazzando guardinga.
Mentre il vento soffia. Ancora.

mercoledì 9 marzo 2011

Interno, sera

Nella mia mente come un soffio io sento,  
un soffio dilatato come il vento
che passa e ronza, picchia ai vetri ed apre
fessure arcane, spiragli a tramontane.

Vanno, sbuffando coi pensieri, i sensi
intorpiditi da un presente opaco,
vanno saltando il grigio, il nero e il nulla:
ostacoli pesanti per chi pesa

inutili barriere per chi vola.
Così quel soffio attira i miei pensieri
e vi cancella il grigio e il nulla opaco:

lo stesso modo accade coi misteri
di questo inaccettabile presente.
Disobbediente, ma felice io vado.

venerdì 4 marzo 2011

I BAMBINI CI GUARDANO ANCORA di Mariaserena Peterlin

da Wikipedia
Il titolo del vecchio film di De Sica ammoniva, nel lontano 1942 il mondo degli adulti. Oggi sembra anacronistico. Ma io non credo che si possa archiviare come preistoria quella narrazione, così terribile e colpevolizzante nei confronti di una famiglia (nonna compresa), che ruota attorno ad una madre che tradisce e ad un padre troppo preso dal suo personale dolore per l’onta subita, sia davvero da archiviare.
Nell’ieri di quel film andavano in scena la trasgressione di una donna troppo amante e troppo poco madre e lo schematismo tradizionalista di un marito troppo offeso per essere padre; la situazione è l’adulterio e la rottura di un equilibrio in un matrimonio di convenienza, le dinamiche sono mosse dalla passione colpevole degli amanti e dal conformismo ad un modello socio-famigliare rigido e fatto di elegante esteriorità.
Ma il titolo del film del geniale De Sica ci riporta al vero protagonista: il bambino Pricò.
Pricò non ha, in realtà, né papà né mamma poiché nessuno dei due ha in sé abbastanza paternità o maternità da comprendere che la vittima consapevole e cosciente, di tutto è invece proprio lui.

Tolte l’ambientazione e le tradizioni compassate e formali di un ambiente alto-borghese la tematica di fondo non cambia di molto e potrebbe essere attualizzata e letta come una metafora.
Pricò, nel finale del film, viene portato in collegio come a un deposito bagagli. Nessuno lo ascolta e mentre lui ha tutto visto e compreso. In collegio Pricò si suicida.
Ci sono tanti modi di scomparire anche senza morire.
Un bambino scompare ogni volta che la sua infanzia non è rispettata e questo accade ogni giorno. Guardiamoci intorno.
Dalla mancanza di reale tutela dei bambini svantaggiati alla pornografia quotidiana in tv, dall’essere considerati bambini oggetto di contesa e di ricatto alle lunghe ore di solitudine anche nella scuola quando il programma da svolgere è il primo e unico comandamento. Per tacere degli episodi più odiosi.


Non dico che le condizioni in cui si vive favoriscano i bambini. Affermo tutt’altro. Gli orari, i turni, il precariato, i diritti (per dli adulti) alla propria realizzazione personale: c’è di tutto, meno che attenzione all’infanzia. Quest’ultimo Natale qualche genitore, senza lavoro,  non ha potuto fare nemmeno i regali. E non ci sono solo queste situazioni che suscitano pena o orrore. 
C’è lo stritolamento della quotidianità; ho sentito una giovane donna parlare in un supermercato. Era la cassiera e diceva: no, non faccio un altro figlio perché me lo dovrebbero crescere gli altri. Oggi, quando l’ho lasciata a scuola, la ragazzina mia piangeva. Ormai capisce. Mi vede solo la sera quando stacco. È troppo poco il tempo che passo con lei.
Quella cassiera ha guardato sua figlia ed ha capito. Noi come paese, invece, non guardiamo i bambini.

I bambini ci guardano ancora, anche mentre noi guardiamo i politici che rissano in tv o che snocciolano discorsi sul futuro, ma non parliamo con loro. Ascoltiamo opinionisti che parlano di scelte, quando sappiamo benissimo che non possiamo e non potremo più scegliere nulla a meno che non si ricominci a ricostruire intorno a noi una umanità diversa, ma non ascoltiamo i figli. 
Ascoltiamo quelli che ci parlano di una scuola pubblica insultata o quelli che la insultano, ma la scuola  è rigida su se stessa e non produce nè promuove il cambiamento; e scivoliamo verso penna, inchiostro e calamaio e tanto conformismo borghese.

I bambini non fanno oh che meraviglia che meraviglia; (anche perché ormai chi ha i soldi se li compra, come cuccioli di razza selezionata, alle banche del seme e dagli uteri in affitto e chi non può smette di farli…). I bambini non fanno oh, ma ci osservano. Sono troppo innocenti per giudicarci, ma non per subire la realtà.

E se questo discorso viene inteso come una vecchia predica moralistica, allora, purtroppo, ho ragione io.

giovedì 3 marzo 2011

Non è mai troppo tardi, per dissentire: fratelli d'Italia... l'Italia chiamò

Goffredo Mameli
No, non è mai troppo tardi per dissentire dal coro osannante l’esibizione equestre-recitante dell’attore Roberto Benigni che dopo essere passato per un accreditato esegeta della Commedia Dantesca ha scelto un argomento meno impegnativo, ma assai più popolar-nazionale, dilungandosi,dal palco dell'Ariston, in una presunta e discutibile spiegazione dell’Inno di Goffredo Mameli, poeta, patriota e martire del Risorgimento.

Non è tardi perché, anzi, è assai meglio attendere, riflettere, e gustare freddo il sapore della ragione. In queste ore, scesi il sipario e l’attenzione sulle esibizioni iperpagate a Sanreno (e non si vengano a giustificare i milioni con l’alibi che sono stati dati in beneficienza perchè la beneficienza si poteva e doveva fare anche senza passare attraverso Benigni, ed anzi è imperativo non sprecare denaro e sostenere invece la sanità e la ricerca) una domanda è lecita e necessaria.
Che cosa resta di utile di quell’esibizione? Oggi si parla di sabotaggio della legalità, di federalismo fiscale, di eventuali nuove tasse, di fazzoletti verdi sventolati come il vessillo di un battaglione eroico e vincente.  Si parla di altri morti in missione di pace. Si parla di territori devastati da due o tre giorni di pioggia… Si parla dell’accurata e meticolosa pratica diserbante e defoliante che si fa della scuola pubblica. Si parla di minori che scompaiono da casa e che vengono o ritrovati cadaveri. Ma in quale paese viviamo?
Si parla del Nord Africa e di migliaia di disperati in fuga di fronte ai quali si sollecita la  preoccupazione che non ci invadano, ma che vengano fermati. Ma certo fermiamoli, e cantiamogli l’inno di Mameli, forse arretreranno sgomenti e intimiditi. Cosa sono violenza e guerra, fame e stato di profugo a confronto di una bella spiegazione dell’Inno?
Siamo davvero nn paese in cui siamo pronti a inghiottire qualunque minestra mediatica e divorare un po’ di tutto? E tutto siamo in grado di digerirlo senza troppi se e ma? Oppure sono i media che vogliono dare questa immagine e questa soltanto e il cervello medio si assopisce beato tutto obliando?
No, non è troppo tardi per dissentire. Ieri riordinavo le mie sbertucciate cartelline di cartone che contengono ciò che ho fatto negli ultimi anni di scuola: compiti, dispensine, appunti, fotocopie, copie di prospetti degli scrutini, giudizi e tanto altro. Tra le carte è emersa una fotocopia dell’Inno di Mameli: parole e musica, insomma lo spartito completo.Sia chiaro, niente di che e niente di cui vantarsi. Lo avevo dato ai miei studenti che, in occasione di un mondiale di calcio perché era diventato di moda cantare a squarciagola l’inno nazionale senza nemmeno capire quello che dicevano. Tutto qui. Una delle mille cose che si fanno durante un anno scolastico senza presumere di essere per questo docenti doc, ma solo onesti lavoratori . Sicuramente altri docenti hanno fatto cose simili e probabilmente migliori. Sicuramente molte famiglie si sono dedicate ai loro progetti di vita e milioni di lavoratori hanno fatto quotidianamente il loro dovere.
Ma tutto questo Morandi non lo sa e per questo ha affermato commosso e compunto che la “lectio magistralis” (mioddiooooo “lectio magistralis” addirittura…) di Benigni doveva essere fatta vedere a tutti gli studenti d’Italia; e per questo il Miur di Fioroni decise che i dvd della Commedia letta da Benigni (letta e niente di più… non diciamo cose esagerate) dovessero essere distribuiti nelle scuole.
Basta con queste carnevalate. Unicuique suum. A ciascuno il suo (mestiere), cercando di essere tutti utili al paese. Per questo è ora di finirla e di  proporre invece retribuzioni omogenee, eque e paritarie per qualsiasi lavoro e funzione (dal senatore al precario). Basta con le scandalose disuguaglianze sociali ed economiche. 
Perché il Benigni democratico non usa il suo carisma per cause socialmente utili?
Proposta anacronistica? maoista? E perché? Vale così tanto di più un cittadino X su un altro Y?
O non siamo più fratelli d’Italia, stretti a coorte, pronti alla morte chè l’Italia chiamò?
E allora che problema c’è ad andare tutti, ma proprio tutti (presunti geni compresi) al regime di mille-cinque / duemila euro (facciamo anche duemilacento)  al mese?
Fratelli d’Italia,  siam pronti alla morte…. l’Italia chiamò.