chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

domenica 22 agosto 2010

LA SCUOLA A DUE MARCE di Fermina Daza

Ci piace pensare all’utopia della Nuova Atlantide di Francesco Bacone, ci piace pensare ai colti ed onesti abitanti dell’isola di Bensalem, ci piace pensare alla casa di Salomone, ci piace pensare ad una scuola civile ed ospitale, ad una scuola onesta ed umana, ad una scuola in cui il rendimento non è influenzato dal territorio o dalla classe sociale di appartenenza.

E mentre riflettiamo sui “buoni sentimenti” che animano didattica ed organizzazione, ecco che in noi si insinua il fastidioso tarlo del dubbio… E a poco a poco iniziamo a sentire la presenza, tra leggi e decreti, tra circolari e regolamenti, del fantasma di un nuovo determinismo, più virulento di quello che ispirò le riforme scolastiche del XX sec.

Il nuovo determinismo lega con rapporto direttamente proporzionale il successo formativo alla condizione socioculturale degli allievi. Come a dire che sono le variabili del contesto extrascolastico, e non le effettive capacità possedute, a deteminare le prestazioni degli allievi.
Così, l’automatico circolo vizioso che viene a istituirsi tra successo e merito rende sempre più debole l’esercizio delle pari opportunità e alimenta in maniera sempre più consistente il gap tra i “i più fortunati” e “i meno fortunati”.

Si badi bene, nessuna traccia di determinismo nei Protocolli d’intesa, nelle Linee d’indirizzo, nei Regolamenti, nelle Direttive, Documenti, Decreti! Solo il tarlo del dubbio…

…E’ per questo che ci sono cari i Lucignoli, caffeina pura contro il deterministico sonno della ragione…. Non c’è bisogno di leggere le carte per capire che questa è una scuola che funziona a due marce! Vip e svip!

sabato 21 agosto 2010

L'INFORMAZIONE IN PILLOLE di Loretta Bertoni



http://www.flickr.com/photos/samyii/with/466217354/


“The specialist is one who never makes small mistakes while moving toward the grand fallacy.” (“Lo specialista è colui che non compie mai piccoli errori mentre si dirige verso l’errore supremo.”)
“The trouble with a cheap, specialized education is that you never stop paying for it.” (“Il guaio di una educazione specialistica e scadente è che non si finisce mai di pagarne le conseguenze.”)
Parto da queste riflessioni del sociologo canadese Marshall McLuhan, che condivido in pieno, per denunciare uno dei tanti aspetti malati della nostra scuola tradizionalista. Quanti sono i docenti che siedono in cattedra e sciorinano il loro sapere in pillole da assumere durante e dopo la scuola (il lavoro domestico), pensando che il loro unico compito sia quello di trasmettere nozioni facendo sfoggio delle loro conoscenze? Quanti entrano in classe limitandosi a imporre informazioni che versano a caraffate nei bicchieri-mente dei loro studenti, senza nemmeno preoccuparsi di sapere se tali informazioni risultino minimamente interessanti per loro? Quanti insegnanti sezionano la cultura in maniera più o meno inconsapevole? E il buffo (o triste?) è che ho spesso sentito colleghi criticare i ragazzi perché hanno il cervello diviso in compartimenti. Ma non sono forse loro stessi il primo esempio di “compartimentismo”?
Tutto questo mi fa ricordare anche una stupenda riflessione che la scrittrice e amica Susanna Garavaglia ci ha regalato. L’autrice definisce “spicchismo” questa malsana tendenza alla conoscenza settoriale. Riporto un passo del suo scritto:

“…Il vecchio mondo, quello della specializzazione, si è comportato da brutta bestia creando false padronanze e un’immagine di sé spesso sopra le righe; la suddivisione particellare dell’analisi del reale ha lasciato l’amaro in bocca di uno spicchio di pompelmo andato di traverso, trangugiato intero senza assaporarne il succo. Diciamo addio alla vecchia incapacità di bere spremute, cogliendo l’essenza dell’intero. (…) Per accogliere la vita nella sua totalità…”

Giustissimo Susanna. Accogliamo la Vita intera, diciamo addio al vuoto "spicchismo", guidiamo i nostri ragazzi sulla via del sapere critico, globale e consapevole. Aiutiamoli a proiettarsi verso la libertà.


venerdì 20 agosto 2010

A che serve la scuola? di Mariaserena Peterlin




immagine da web
Gli studenti, nelle nostre scuole, di solito sopravvivono e sopravvivere non è il modo più bello di vivere e tanto meno di fare esperienza, maturare e crescere per diventare cittadini liberi, pensanti ed autonomi.
Per sopravvivere sono indotti ad adeguarsi al modello che colui che sta in cattedra (non mi regge il cuore di chiamarlo comunque docente) impone.
Possiamo davvero dire che se ripetono quello che gli si impone i nostri ragazzi hanno "imparato"?
Se i nostri alunni vengono a scuola per ricevere norme, regole e un tot di cose da trattenere nella mente dobbiamo anche chiederci: "per quanto tempo quel tot di cose gli rimarrà in memoria?"
E possiamo anche dubitare : "hanno davvero imparato?"
Affermo con un paradosso, o meglio con una divagazione paradossale: imparare è come partire, ossia morire.
Speravo di non dovere più sentir dire, mentre lo sento ogni giorno, che la scuola ha come scopo di fare imparare.
Quando, alla fine del suo libro Manzoni  fa dire a Renzo "ho imparato, ho imparato, ho imparato," il romanzo, guarda caso, finisce; anche il protagonista se ha imparato a sue spese e dall’esperienza, e non certo da prescrizioni, divieti e consigli ricevuti dagli altri egli smette di essere interessante e torna ad essere uno qualunque di cui non c’è niente da raccontare.
Vorrà dire qualcosa? O da allora non è cambiato nulla?
Fine del paradosso, o meglio della divagazione paradossale.

martedì 17 agosto 2010

VOLEVO FARE IL TUBISTA - post di FERMINA DAZA


Da una scrittura collettiva dei miei alunni
VOLEVO FARE IL TUBISTA 
A- Professoressa, che schifo questa scuola!
P – Perché dici questo?
A – La scuola insegna cavolate! A che mi serve conoscere la musica se da grande voglio fare il tubista?
P- Tutto va imparato!
A- Sempre quella è la risposta, anzi la canzone…
P – E allora di cosa dobbiamo parlare, delle vacanze estive che stanno arrivando?
A- Eh, brava, parliamo di quelle …. e di come devo studiare per recuperare. A proposito, che ha intenzione di mettermi il debito?
P- Sì, forse, non so, dipende da te!
A – No, dipende da lei!
P- Ma io ho già fatto tutto il possibile per te!
A – Aspetti un attimo, non riesco a ricordare cosa ha fatto per me… ah, sì, forse quella volta che mi ha rimproverato…
P- Ma l’ho fatto per il tuo bene!
A- Ah, ci risiamo con la stessa canzone…
P- Cosa intendi dire, che mi sono comportata male con te? Non ti ho forse spiegato la lezione?
A- E’ sicura di averla spiegata? Ha detto un sacco di parole senza senso? P – No, sei tu che non capisci il senso delle mie parole!
A- Quando lei spiega non capisco niente e penso ad altro!
P- E a che pensi, di grazia?
A- Penso a come devo sbloccare l’ultima missione di GTA IV e a come non lo potrò fare perché sarò costretto a studiare tutto il pomeriggio…
P- E lo vedi che sei tu? Come faccio a non metterti tre?
A- Vabbè, è sempre colpa mia! Ma non è che essere alunni significa essere stupidi? Mi viene un grande sospetto…
P – Ma stai zitto! Io, per diventare intelligente ho studiato per venti anni!
A – Ma io sono già intelligente, è lei che non lo ha capito!

Come afferma Edgard Morin “bisogna che la scuola insegni a vivere”. Ma la scuola che conosciamo è davvero una scuola disegnata a misura d’uomo? E a misura di quale uomo? Uomo reale o uomo ideale? Uomo come preziosa individualità irripetibile o uomo come banale realtà catalogabile? La risposta alle domande è nei fatti: la scuola non può essere maestra di vita perché non ha occhi per guardare il mondo e cuore per sentire il battito della vita. Una scuola che non si apre al mondo è una scuola inutile, ingessata, noiosa, demotivante. Una scuola che respira il mondo è una scuola attraente, una scuola ove crescere non è frutto né di un caso né di una scommessa, ove l’attrattività è sinonimo di benessere.





sabato 14 agosto 2010

TRAME VIRTUOSE ed EDUCAZIONE: tra Atena ed Aracne di Mariaserena Peterlin



E fu ancora notte e ancora mattina, e fu ancora sole e fu ancora nuvole e pioggia. Nulla si ferma, tranne l'uomo che si lascia vivere, tranne chi, prima ancora di iniziare dice che sa già come andrà a finire. 
Questo atteggiamento è frequente, sciaguratamente frequente anche nel rapporto tra adulti e giovani. Non è la scuola ad essere malata, né la famiglia: la malattia è nel conformismo che si adegua, è nella pigrizia di chi ripete ripete ripete, è nella paura di chi non rompe lo schema né cambia strategia. La malattia è sisifea ottusità: o non si è passivi o si replica, e non chi non riesce a spezzare la spira avvolgente della rassicurazione vive la situazione dell'insetto, preda del ragno. Irretito, paralizzato e messo vivo in dispensa per la ragnacea discendenza.
Possiamo continuare a mantenere viva l'aracnide a spese nostre? Ci sono forme del presente che ci sprofondano nel passato, mentre ci sono miti che ci proiettano nel futuro
Possiamo dimenticare che quella di Aracne fu una condanna di una Atena irritata contro la bellezza dell'invenzione meravigliosa di una tessitrice? 
Sarebbe davvero firmare una resa, e senza condizioni.
E gli adulti, se tali sono, non possono insegnare ad arrendersi.
***







Riprendilo in mano il telaio
riprendi con forza il tuo filo


e pensa già tutto il disegno;
lasciando che il cuore lavori
tu tessi, scegliendo i colori.

Riprendi quel filo, quel pettine
e passa la trama vivace
veloce con l’agile ordito
che chiede soltanto la luce.

Riprendi il lavoro al telaio
e immagina, a liberi voli.
Non spezza quel filo il coraggio
di nuovi disegni, né voli
ronzanti d’insetto
che vola nell’aria dorata
per fare al pedante un dispetto.


©

martedì 10 agosto 2010

SCUOLA E CREATIVITA' di Loretta Bertoni


Numero 18, 1950 Stampa artistica


Leggevo oggi un articolo pubblicato da Francesco Lizzani per Education 2.0.

Sono considerazioni in margine a un articolo di Antonio Capaccio e mi piacerebbe proporvele. Uno dei grandi temi affrontati da Capaccio è quello della creatività: “La creatività non è uno scherzo. Come forma aperta e dinamica del linguaggio, essa aiuta a comprendere e ad accogliere; ci libera da ogni certezza, ma ci restituisce una coscienza più profonda di noi stessi.” Lizzani concorda che "è su questo terreno che il maestro, mettendosi in gioco “alla pari” con l’allievo, può innescare quel transfert che lo trasforma in, anzi risveglia, il “maestro interiore” del suo alunno.". Perché "trasformare i nostri alunni in autodidatti dovrebbe essere proprio la meta suprema del lavoro magistrale."

Io mi trovo d'accordo: la creatività andrebbe sempre stimolata e incoraggiata dai docenti, che dovrebbero evitare una buona volta di trasmettere saperi preconfezionati e contenuti ormai superati e quindi privi di interesse. La fobia dei programmi è diventata più che mai ridicola. Ci auguriamo un futuro (non lontano) fatto di scuole dove gli insegnanti in primis imparino a usare il "fattore creatività" al posto del vecchio libro di testo. Sarebbe bello vedere un giorno i docenti consegnare una programmazione didattica a inizio anno in cui, alla voce "Materiale didattico in uso", compaia a chiare lettere la scritta: "CREATIVITA' - e ogni mezzo che si renda necessario al momento". Ma la creatività, come la libertà, dobbiamo avercela dentro: siamo sempre noi che dobbiamo dare il buon esempio...

lunedì 9 agosto 2010

LA SFIDA FA PARTE DEL VIVERE IN CLASSE di Fermina Daza

“Un insegnante di secondaria inferiore o superiore nel momento in cui afferma di mantenere vivo l'amore per il suo lavoro (impegnandosi quindi a non riempire vasi e a non recitare il ruolo della cariatide) sa benissimo che il suo impegno sarà verificato e messo alla prova dalle sue classi che molto spesso lo sfideranno alla prova della coerenza” (Mariaserena Peterlin)

immagine scaricata dal web

La sfida fa parte del vivere in classe, del sentirsi vivi, del reciproco riconoscimento, del rito di passaggio che conduce all'adultità, della trasgressione che è propria dell'inquietudine adolescenziale...
Comincerei a preoccuparmi seriamente se i miei ragazzi non mi sfidassero! Opporsi all'adulto, provocarlo, saggiare la sua coerenza, metterlo in difficoltà, superarlo...non sono segnali ostili, sono suoni di vita pulsante, che vanno colti ed accolti come irrinunciabile occasione di crescita comune. Un educatore biofilo questo lo sa ... perché ha accettato e continua ad accettare mille sfide con se stesso, perché sa che il vero valore della sfida non è il risultato finale ma il percorso di crescita personale che l'accompagna.
Appunto, il percorso di crescita che tende all'infinito ... in questo crede il biofilo! Chi è consapevole del suo percorso di crescita è nelle condizioni di poterlo ravvisare negli altri!

Quanti adulti sono consapevoli di esserlo? Pochi, pochissimi... e i ragazzi si sono stancati di sfidare altri ragazzi mascherati da docenti ... e di perdere sempre, per giunta!

IL NUOVO LOCUS AMOENUS di Fermina Daza

Il bagno è il nuovo locus amoenus in cui i ragazzi si incontrano e, in piena solitudine e lontani dagli occhi indiscreti degli adulti, compiono i riti iniziatici: la prima sigaretta, il primo spinello, la prima scritta sul muro, il primo bacio, il primo appuntamento... Così, agli adulti ingabbiati sfugge quel prezioso sapere di vita che è sapere di libertà…

Ed è proprio nel nuovo locus amoenus che i ragazzi, diventati adattabili alle circostanze, riflettono sui problemi gestionali della scuola. E da quella oralità condivisa nel paradiso metafisico delle piastrelle lucenti, emerge autobiograficamente la consapevolezza della morte empatica degli adulti.

Nei ragazzi vi è in qualche modo la speranza dell’apertura, ma è solo una speranza, non certezza. In molti casi solo una retorica richiesta d’aiuto che non attende risposta. E come potrebbe esservi risposta? Il sentimento della libertà è sempre in partenza e mai in arrivo…. chi non sente la libertà dentro di sé non non ha consapevolezza del futuro né può insegnarlo… I ragazzi non sanno progettare il futuro perché gli adulti non sono davvero liberi…
Troppo spesso la libertà personale viene confusa con la libertà di irrogare sanzioni, provocare, mettere note, incutere paura….Triste esempio di libertà negata …. La scuola, pensata a dimensione di adulti rigidi e convergenti, considera invisibili i ragazzi e li tratta come nullità.

Quanto spreco di intelligenza in una scuola che è capace di leggere solo le coordinate della decima intelligenza, quella talmente evidente da non essere mai stata catalogata. L’intelligenza scolastica che privilegia i secchioni (non me ne vogliano i secchioni, è una scelta anche quella) e codanna chi balla il limbo o gioca al Milionario…(è una scelta anche quella). Una scuola in cui gli alunni sono ingabbiati in una farraginosa struttura verticistica… dal somaro… al secchione…

E’ proprio vero che la vita è altrove…nel locus amoenus dove si può imparare senza star seduti per cinque ore a guardare i soliti programmi.


La scuola del futuro - PENSIERI SPARSI di FERMINA DAZA




La riforma dell’attuale contesto formativo va pensata seguendo due linee di intervento che toccano due ambiti che corrono paralleli: l’ambito strutturale da una parte e l’ambito culturale dall’altro.
Per quanto riguarda l’ambito strutturale, vi è la necessità di aderire a nuove logiche che ispirino il cambiamento paradigmatico delle forme di reclutamento degli insegnanti, che attivino efficaci processi di lifelong learning, che promuovano nuove strategie di autonomia gestionale e didattica, che attivino un oggettivo sistema di valutazione delle performance, che incentivino le competenze di docenti e studenti, che prevedano la certificazione della qualità in merito all’efficacia e all’efficienza del sistema, che prendano in seria considerazione la progettazione di alleanze integrative fra le diverse agenzie educative presenti sul territorio.
La parallela riforma dell’ambito culturale si mostra particolarmente problematica poiché è chiamata a fare i conti con l’ ingovernabilità del sapere che si manifesta attraverso la continua ricerca di procedure che siano in grado di generare una visione più chiara dei fenomeni. A questo si aggiunga che la tendenza ad un sapere sempre più reticolare spinge inesorabilmente la cultura del lento cambiamento a confrontarsi con dinamici itinerari di conoscenza che sempre più possano adeguarsi all’accelerazione sociale e culturale impressa dai nuovi saper tecnologici.
E’ proprio al cambiamento e alle sue connotazioni, la velocità, la relatività, la problematicità, il pluralismo, la multimedialità, che la scuola del futuro dovrà guardare per progettare efficaci percorsi formativi.

domenica 8 agosto 2010

Scuola e "pari opportunità": la vecchia corsa all'oro? di Loretta Bertoni



Si parla tanto di "pari opportunità" in ambiente scolastico, di "pari dignità" degli studenti che, indifferentemente dal tipo di scuola che frequentano, dovrebbero avere la possibilità di raggiungere un grado di istruzione dello stesso livello, che possa garantire loro un inserimento libero e consapevole nel mondo. Sacrosanto. Ma io andrei oltre...Perché queste pari opportunità dovrebbero essere concesse soltanto agli studenti? Come si può raggiungere questo stato di cose idilliaco se gli insegnanti per primi non sono liberi?

Propongo quindi che lo stesso grado di pari dignità venga concesso e garantito anche ai docenti che, pur se desiderosi di cambiare, vengono spesso repressi da dirigenti scolastici troppo rigidi, incapaci e abili soltanto a vendere fumo. La partita è solo in mano ai singoli insegnanti ormai, ci vuole un enorme coraggio ad andare contro tutti, e non tutti ce l'hanno. Ormai i dirigenti fanno a gara a pubblicizzare le proprie scuole con sistemi più o meno biechi, sono rimasti pochissimi quelli che non partecipano a questa guerra fra poveri e portano avanti idee concrete rispettando i vari utenti della scuola. Spesso i presidi, seguendo le linee direttive del governo ad occhi bendati (nell'illusione di trarre non so quale vantaggio da certe adulazioni), lusingano i "loro" docenti, accarezzandoli viscidamente con promesse di "premi" (si veda il caso delle tanto decantate LIM ad esempio) adatti a chi di scuola non capisce niente. Il problema è che molti non se ne accorgono e si fanno irretire, così la scuola continua a morire.
Con questo continuo distrarre le menti degli insegnanti dai veri modi di fare innovazione, si fa mercificazione di sistemi innovativi. Si fa solo vuoto presentismo.






sabato 7 agosto 2010

contributo da FERMINA DAZA: Imparare l'autonomia, non la dipendenza (Raoul Vaneigem)

Facebook. Dall'amica Fermina ci arriva non solo una preziosa indicazione, ma un link che ci da la possibilità di scaricare il libro zippato di Raoul Vaneigem.



Doverosamente e affettuosamente ringrazio FERMINA DAZA
E... spudoratamente copioincollo da lei l'indice del testo.
Aggiungo solo una delle possibile considerazioni e una delle possibili chiavi di lettura: in materia di educazione, formazione, linguaggi, e scuola non esistono precotti e preconfezionati.
Non ci sono mappe o ricette, strade o percorsi : esiste la ricerca continua e l’apertura al dialogo.
Non si va in cattedra per iniziare una partita a scacchi, né per preparare un esame o dettare regole. Ci si va per capire, spalancare finestre, accendere luci e amore per la libertà. La conoscenza è un fine, non un mezzo.
Grazie Fermina, ti invitiamo a gran voce. (A quando fra noi?)

Avviso agli studenti
di Raoul Vaneigem, 1995
Indice
Capitolo I


Capitolo II


Capitolo III


Capitolo IV


Capitolo V


Titolo originale: Avertissement aux écoliers et lycéens (1995)
Traduzione di Sergio Ghirardi.
Pubblicato da
 Nautilus, 1996, Torino.




giovedì 5 agosto 2010

Eco-arte o arte ecologica? di Loretta Bertoni


Davide Sarchioni


Si parla tanto di ecologia, e gli ambientalisti inventano mille maniere per portare avanti le loro proteste. Si arriva a denunciare con ogni mezzo, si pensi alle campagne non violente ma spettacolari di Greenpeace.
Da un po' di tempo qualcuno ha deciso di protestare anche usando la creatività e il genio artistico. Sto parlando di Paul "Moose" Curtis, l'inventore del REVERSE GRAFFITI, una tecnica usata per creare graffiti semplicemente rimuovendo sporco e polveri sottili dai muri che arredano cupamente le nostre città. Con questo metodo ( ritenuto legale in quanto, non utilizzando vernici tossiche, non inquina e non danneggia le superfici) l'artista crea un'opera d'arte facendo anche un favore all'ambiente. Doppio vantaggio quindi. Paul Curtis, infatti, adopera soltanto grosse pompe ad acqua e detergenti che "spara" su stampi giganteschi (che lui stesso crea) appoggiati alle pareti da decorare: un gigantesco stencil insomma.


Il signor Curtis non rende semplicemente più belli i muri che decora, ma li lascia anche più puliti di come li ha trovati! Quindi non è solo un artista, è anche un ambientalista davvero originale. Con i suoi graffiti al contrario, infatti, ha trovato un modo artistico di denunciare lo stato di pesante inquinamento che ci circonda. Più si fa chiaro il contrasto, più la denuncia è palese. Ne è un chiaro esempio la serie di figure e quadri da lui impressi sulle pareti dei tunnel di San Francisco, in cui ha dato vita a enormi "tele in galleria" semplicemente pulendo lo sporco che li riveste! Nel video Curtis racconta che l'idea gli venne anni fa nella cucina di un ristorante in cui lavorava, un giorno che vedendo una macchia sul muro cercò di pulirla con uno straccio...rimase una specie di disegno sullo sporco del muro e gli piacque, così decise di decorare in quella maniera prima tutta la cucina, poi l'intero ristorante! Altra curiosità: le piante che lui "imprime" sulle pareti del Broadway Tunnel, la galleria ripresa nel video, sono le stesse che componevano la vegetazione presente in California, circa 500 anni fa, nella stessa area in cui il tunnel venne costruito...
Come tutti i graffiti, che ci regalano scorci di luce e colore nel grigiore metropolitano, rappresentando un'espressione spontanea e non pre-confezionata del pensiero, anche questi graffiti al contrario illuminano il nostro mondo opaco, rendendolo anche più pulito.

Davvero geniale, Mr Curtis! Ecco la genialità che servirebbe nelle scuole oggi. Perché non proviamo anche noi a prendere un enorme idrante per ripulire tutto lo sporco che le incrosta da secoli? Dove lo possiamo prendere? Ma è ovvio: nella nostra mente, nella nostra forza di volontà, nella creatività e nel coraggio che ci dovrebbero sempre accompagnare.