Passerelle. Sceneggiate. Spettacolo. Recite con soggetto.
NOTECELLULARI di Mariaserena Peterlin
Liberi, umani, solidali.
chi sono
Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.
mercoledì 5 aprile 2023
Dibattiti politici in tv - LA GRANDE FARSA
giovedì 16 marzo 2023
Compiti, perché no?
A scuola: Basta compiti? Compiti no? Compiti sì?
A proposito di un post di Gianni Marconato su fB.
Se si obiettasse che gli alunni (di
qualsiasi età) stanno già molte ore a scuola e che quindi una volta uscitine è
giusto che siano liberi da compiti vorrei far notare che la fase di lavoro
individuale potrebbe essere incoraggiata anche nell'ambiente scolastico. Questo
non significa semplicemente intimare il "vietato copiare". Vorrei
invece significasse che sarebbe necessario incoraggiare gli studenti, anche
piccolini, a lavorare individualmente anche se per un tempo certamente più
breve di quello dedicato ad altro lavoro o, per dir meglio, un altro compito da eseguire a scuola.
Aggiungerei una ulteriore
considerazione: oggi i ragazzi sembrano sempre meno interessati (o capaci?) di
avere gusti, pensieri, tendenze personali. Oggi, anche per la potente influenza
di tutti i media anche gli adulti veleggiano verso il pensiero unico, le comuni
tendenze, gusti standardizzati e opinioni trainanti. Insomma si è tutti indotti
verso la passiva accettazione e condivisione di un comune sentire che toglie
tantissimo perfino alle qualità personali, a possibili sviluppi di pensieri
originali.
Certo fare i compiti non risolve tutto
questo.
Ma potrebbe essere un piccolo segnale.
venerdì 27 gennaio 2023
Nel nome della memoria
Chi, come me, ha avuto una famiglia (e già questa è un’eccezione) che ha trasmesso i valori, di cui tanto si parla e poco si pratica, il messaggio del tragico dolore per la vergogna dell’olocausto è stato una costante della vita e un messaggio costante nella memoria, nel suo nome.
Le ricorrenze sono fondamentali per trasmettere sempre quel messaggio e rinnovare quei valori.
La viva speranza è che non se ne faccia un ossessionante baraccone mediatico e politico che serva ad acchiappare consensi.
Se accadesse questo oltre a infangare un dolore che deve essere di tutti, e nostro il lutto, si ritornerebbe a dar spazio e voce a quelle infami logiche di propaganda, nonostante le eventuali buone intenzioni.
Infatti se tutto nacque da una disumana, corrotta e abietta ideologia fu proprio l’infame propaganda a rendere possibile che quel dolore, che poteva essere condannato e rifiutato da tutti, sia divenuto reale tortura, devastazione di vite e morte atroce di milioni di esseri umani scientificamente perpetrata.
Ed è proprio quando l’atrocità dei delitti può diventare, e senza scandalo, addirittura “legge” di uno stato che l’umanità cede, e lo ha fatto, lo scettro ai demoni più crudeli e sghignazzanti.
Mi verrebbe da dire il solito “giù le mani da…” ma sarebbe comunque un seme di moralismo supponente e negativo che si deve fuggire.
domenica 5 giugno 2022
Di #SCUOLA chi parla?
da ieri, di ieri?
La quaestio non mi sembra sia : può parlar di #scuola
chi scuola la fa, chi entra ogni giorno nelle aule, chi ha anni di servizi eccetera.
Mi sembra sia invece che ne possa parlar chiunque, partendo dall'idea o
l'ottica che l'opinione sia diversamente calibrata.
Se parlo di ospedali, di cantieri, di politica, di ferrovie, di commercio non
devo essere necessariamente medico, ingegnere, senatore, capotreno o direttore
di un supermercato.
La scuola è tanto e provo a dirne qualcosa.
È ambiente di relazione, è formazione, è società, è fondazione di futuro, è
luogo di lavoro e vita, è trasmissione e ricezione, è dialogo, è progetto di
pensiero critico, è mappa per essere cittadina e cittadino. È esercizio di
diritti civili e sociali.
E poi ci sono i #contenuti. Su quelli si tratta e disegnano itinerari.
Ma se ne può parlare, ne dobbiamo parlare, anche da posizioni di contrasto.
Anche dal mio scranno dinosaurico.
E sempre non dimenticando a casa il viatico: ironia e affetto, impegno e
passione.
martedì 12 gennaio 2021
Non tutta la Dad viene per nuocere
Se fossimo capaci di essere più sensibili e vicini alla situazione dei nostri giovani studenti delle Scuole Medie Superiori diremmo loro che questa dura ed inedita esperienza può essere comunque sostenuta e affrontata con dignità, diremmo loro di valorizzare l'anomalia (chiamiamola così per semplificare) della scuola in #Dad, e dovremmo sottolineare che non si tratta di una scuola di serie B o C, ma che dipende anche da loro, peraltro ragazzi solitamente smaniosi di dimostrare d'essere adulti, estrarre tutto il buono possibile dalle lezioni a distanza e dal lavoro dei loro insegnanti. D'altronde abituarsi a volgere al meglio le situazioni che la vita ci propone, anche quelle eventualmente avverse, negative, fastidiose è un'ottima pratica per vincere la tendenza a uno sterile vittimismo e che sarà utile per tutta la vita. (1) La Dad, infine, non è come essere sottoposti agli arresti domiciliari. Semmai è evasione dall'isolamento stesso.
sabato 14 novembre 2020
Contro la #scuola_migliore in classifica
Vita di scuola |
Non mi ricordo nemmeno quando sia iniziato questo ritorno all'oscurantismo pedagogico. Mi pare da Moratti. Certo Gelmini ci mise sopra una quota allucinante di genuina ignoranza.
mercoledì 11 novembre 2020
Andreas Robert Formiconi: Spremere valore dai contesti online
Andreas Formiconi : spremere valore dai contesti online
Un video dove il prof. Andreas Formiconi dimostra, riferendo su esperienze di pratiche realizzate da straordinari docenti, come sia possibile realizzare la DIDATTICA DI VICINANZA e il Tirocinio anche in tempo di pandemia, restrizioni, isolamento.
" smettiamo di lamentarci o polemizzare sul niente, ma rimbocchiamoci le maniche"
"è una questione di abbattere gli schemi mentali, andare al di là dell'ovvio"
" cosa ce l'ho a fare questo chilo e mezzo di sinapsi nella mia scatola cranica? Le devo usare!"
"ho colto l'occasione, spremere valore online è un sottoinsieme di spremere valore da qualsiasi avversa condizione. E' un abito mentale che fa la differenza tra chi sopravvive e chi soccombe, fa la differenza tra chi il mondo lo vuole costruire e chi invece sopravvive al minimo."
martedì 29 ottobre 2019
di scuola e non scuola (versi maledetti)
sabato 17 febbraio 2018
La meraviglia e l'infanzia
La ricerca dell'ape tra i fiori di tiglio |
L'insegnante non ferma al casello
C'è crisi nell'Educazione?
Io penso che dobbiamo assolutamente ricominciare a pensare in termini di autocritica; e non per chiederci se avremmo dovuto dare di più, ma per chiederci se, almeno la scuola, non avrebbe dovuto adottare linee diverse.
Siamo inoltre di fronte all'evidenza che alcool, fumo, droghe e comportamenti violenti o pesantemente pericolosi o trasgressivi sono familiari alla nostra infanzia e alla gioventù che cresce; e influenzano ormai la vita sociale, affettiva, personale.
Non saranno certo la scuola del merito o la cosiddetta buona scuola né la slabbrata famiglia amicale che risolveranno questa realtà o apriranno una via di uscita
A meno che non si voglia attendere che accadano catastrofi peggiori dobbiamo fermarci e esaminare a fondo i fenomeni della realtà giovanile che ci circonda.
Già si spara per le strade e per le strade si pestano i coetanei o si cade preda degli spacciatori; non voglio nemmeno pensare a cosa possa accadere a breve, sempre che già non accada, nelle scuole.
Le sempre più frequenti violenze contro i docenti sono già sulle pagine delle cronache.
giovedì 20 ottobre 2016
giovedì 21 maggio 2015
Io non mi vergogno
Ma proprio per questo io non mi vergogno e non condivido la vergogna. Me ne chiamo fuori dopo una vita che è ed è sempre stata di personali battaglie, spesso perse perché non condivise è vero, ma che consentono di non lasciarmi ammucchiare nella massa pecorile che giudiziosamente e accortamente sceglie ed ha sempre scelto il cosiddetto male minore, che ha fatto e fa spallucce, che ha sempre detto e dice che non si può far altro.
Non è così: ogni nostra azione quotidiana può essere azione di semina per il futuro e per cambiare la realtà.
Chiunque semina sa che ci vuole tempo. Specie se si è in pochi.
Questo non significa che si smette di seminare, di pensare, di dissentire.
Questo non significa che ci si lascia omologare e soffocare dal conformismo. E non significa che non ci resti altro che la nota tattica delle tre scimmie che non vedono-sentono-parlano.
Siamo persone e non scimmie. Uomini fummo ed or siam fatti sterpi fa dire Dante ai suicidi: e non è forse un suicidio civile arrendersi, tacere, annuire storcendo le labbra, forse, ma senza affermare anche con i fatti una diversa e opposta convinzione?
E proprio per queste ragioni io dico che mai e poi mai, anche se il nostro navigare fosse solitario e con piccioletta barca, anche se la nostra fosse semplicemente una posizione coerente solo con la propria personale coscienza, mai bisogna lasciarsi andare verso la schiera di chi si vergogna in conto terzi, e tanto meno lo deve fare chi, pur eseguendo i riti inevitabili imposti da un minimo di convivenza e sopravvivenza alla routine, continui ad avere un pensiero, una parola ed un cuore liberi.
Quelli che si vergognano godono e, sotto sotto, si compiacciono tra sé e sé della acquietante remissività impotente e giustificante che li fa apprezzabili ai molti; il tutto en attendant una redenzione che altri (come sempre) eseguirà, se il fato lo vorrà, anche per loro. E allora siano loro a vergognarsi.
Io no, io non mi vergogno.
giovedì 16 ottobre 2014
Per il futuro
lunedì 22 settembre 2014
Merito e utilità del far scuola
Se è vero che sbagliato dire solo no e rifugiarsi nel passato è anche vero che innovare dovrebbe significare (provo a definire) fare ricerca per confutare, dove ci siano, gli errori e proporre nuove soluzioni, strade ed idee.
Nell’ambito educativo e dell’istruzione scolastica non possiamo dire solo no al merito e alla meritocrazia, ma dobbiamo pur riconoscere che una selezione di tipo meritocratico non è, di per sé, né innovativa, né uno strumento per insegnare/imparare meglio, né per educare; al massimo potrebbe esser considerato uno strumento per vagliare e selezionare in base ad un solo criterio; quello, appunto del merito.
E tuttavia dicendo così siamo ancora in ambito molto generico.
Infatti se non definiamo cosa sia merito e cosa (non meno importante) il demerito stiamo già affondando nella palude delle parole dette a vuoto: prima di disegnare figure esatte occorre squadrare il foglio ossia, in questo caso, dare un senso alle parole.
1) uno studente è meritevole in quanto portatore di un patrimonio di qualità? E quali?
2) chi è meritevole riesce ad esserlo in ogni tipo di scuola, in ogni disciplina e con ogni insegnante del suo corso di studi?
Ma poi esiste la pratica. Molti bravi insegnanti (1) si muovono, di solito, con la prudenza ma anche con l’audacia di bravi esploratori che sanno quale sia la meta, rileggono e tarano giorno per giorno gli strumenti, ne inventano di nuovi, si confrontano con la realtà, raccolgono esperienze.
Una base di una ricerca volta a confutare gli errori del passato e a cercare nuove e migliori strade per il futuro dovrebbe tener conto degli ultimi quattro secoli di ricerche ed esperienze pedagogiche. Ma non volendo essere pedanti possiamo almeno desiderare che chi si proponga con responsabilità direttive in questo ambito evitati scivoloni o errori di stile e contenuto tenendo presente almeno gli studi dal positivismo pedagogico ad oggi, poco più di centocinquant’anni, fondamentali.
E il merito allora? Certamente; quello della medaglia di primo della classe ci commuove ancora, perché no?
Tuttavia non sono quelle le sole lacrime che la scuola può far versare.
Il merito ci piacerebbe, ci piace: come insegnante anche a me sarebbe piaciuto esser considerata meritevole, ne avevo anche qualche titoluccio, e la vanità fa il suo lavoro. Ammettiamo tuttavia che non si insegna per sentirsi bravi, caso mai per sentirsi utili. Lo stesso desiderio di utilità non ci piacerebbe anche tra le doti ed i meriti di bravi ministri miur?
venerdì 27 dicembre 2013
Pinocchio e le metamorfosi istruttive
Leggi il Manifesto di Pinocchio |
Un cammino avventuroso, dunque, in cui non mancano corrispondenze tra gli stati d’animo e le varie ambientazioni anche notturne come l’inseguimento degli assassini o il viaggio verso il paese dei balocchi.
L’autore fa crescere il suo burattino attraverso frenetiche esperienze durante le quali la sua originale natura ligneasperimenta quanto la realtà umana sia illusoria, variabile e spesso frutto di scambi o cambi di identità.
Collodi, che come noto fu anche autore di teatro, non trascura d’usare l’effetto fascinoso dei colpi di scena né manca di marcare con figure, metafore, simboli e contesti sia gli stati d’animo del protagonista, sia lo scorrere del tempo e dei luoghi che incorniciano le azioni.
— Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io — disse Pinocchio al carceriere.
— Voi no, — rispose il carceriere — perché voi non siete del bel numero….
— Domando scusa; — replicò Pinocchio — sono un malandrino anch’io.
— In questo caso avete mille ragioni, — disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.
Il contadino che ha catturato Pinocchio gli mette al collo un grosso collare e gli impone di far da guardia ai ladri dei polli in sostituzione del suo cane, Melampo, che è morto: “puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c’è sempre la paglia che ha servito di letto per quattr’anni al mio povero cane”.
Già, quale sistema migliore di farsi giustizia che mettere in atto un altro imbroglio, ossia una frode?
venerdì 20 dicembre 2013
La classe docente andrà in paradiso?
una vita, la mia, nella scuola |
Se ce l’ha ed ha una sua specificità questa probabilmente è pluralista senza tendere all’individualismo, complessa senza essere inespugnabile, specifica senza essere corporativa, specializzata senza essere escludente.
I docenti non sono forse per peso, numero e peculiarità una parte significativa della società? Penso di sì.
È sufficiente fare una veloce stima dei gruppi di docenti esistenti nel web per constatare che questa identità esiste davvero e quanto sia viva e consapevole di esserlo.
La classe docente si occupa di istruzione, di formazione, di educazione; può dare un’impronta all’orientamento dei giovani verso il futuro, al loro modo di socializzare, considerare e rapportarsi agli altri; può indurre i ragazzi a riflettere, fin dall’adolescenza e anche prima, su quale sia il mondo in cui vorrebbero vivere: sono tutte questioni pesanti che danno prestigio al ruolo.
Tutti i politici se ne ricordano allora, come no.
Alle elezioni, alle primarie, a qualche referendum, ai congressi, in occasioni pubbliche allora si parla sempre di scuola, di insegnanti e perfino de “i nostri ragazzi” che ho virgolettato perché non se ne può più.
Non se ne ricordano, e lo sappiamo, quando le scuole cascano a pezzi, quando mancano strumenti aggiornati, quando le classi sono affollate. Non se ne ricordano nemmeno quando qualche docente sbaglia, non si aggiorna, non è all’altezza.Laissez faire, laissez passer (lasciar correre, ignorare) è, in questi casi, la linea di condotta. Certo nessuno è perfetto, ma sappiamo bene come, per certe professioni, i danni siano come l’inquinamento ambientale sparso nelle nostre città: si diffonde, si appiccica, non fa passare aria buona ed è difficile da rimuovere.
Dunque, ipotizzo, dev’esser per colpa dei docenti non adeguati che tutta la classe docente è sovente mal pagata oppure pagata a sorteggio; ossia quando danaro ce n’è e se non ce n’è s’aspetta il turno.
Certo, ci sono anche i docenti che vivono la scuola in realtà di nicchia, quelli di scuole ben frequentate, chissà in qualche liceo per bene dove quasi tutto funziona come un orologio incorniciato da una realtà poco problematica.
Dev’esser per questo che qualche opinionista o giornalista, e anche il solito politico rampante o ansimante pensa che basti fare un fischio per veder correre donne e uomini insegnanti all’allettante richiamo. Hanno tanto tempo libero, possono fare, possono esserci, possono pure fare reclutamento adesioni!
Eppure io voglio davvero bene agli insegnanti e mi dispiace che, nonostante valide eccezioni assolutamente encomiabili, la classe docente (la categoria docente) sembri non volare: a volte rivendica eventuali diritti borbottando e non impegnandosi, altre volte si inacidisce sulla mancanza di sostegni e supporti che, tuttavia, sono (o dovrebbero) indispensabili allo studente, non al prof.
Esiste e ha capito che può/deve avere un ruolo o pensa che andare al voto da docenti o da persone diversamente attente e consapevoli sia la stessa cosa? Esiste, è viva, si sa indignare, sa dire la sua quando serve o ha mollato?
Esiste e vuole un prossimo futuro in cui essere propositiva o ha messo in barca remi e timone e va alla deriva?
E con la deriva andrà in paradiso? Forse no.
lunedì 30 settembre 2013
Lettera aperta DI / A una professoressa sulla poesia
Iniziando questa lettera, sulla poesia, mi accorgo di aver usato il verbo amare e la parola amore con una frequenza che solo la poesia poteva ispirare, ma è necessario che subito, al contempo, io difenda la poesia sia dai sentimentalismi, sia dalla tracimazione degli stessi.
In realtà la poesia d’amore rischia di essere sia di quel genere innocuo, di cui hai tu parlato, sia uno sfogo banalizzante di sentimenti precocemente nati e finiti.
Ma tornando al tema: come negare che, seppure apparteniamo a generazioni un po’ diverse, entrambe siamo state formate ad un approccio rigoroso alla letteratura, che abbiamo decantato il rigore raffinandolo ulteriormente attraverso il filtro, a volte fittissimo, degli studi strutturalisti o dell’esegesi semantica e della semiotica, che abbiamo sperimentato le letture di diversi critici diversamente orientati ma siamo felicemente sopravvissute amando questa forma di scrittura che non può non essere che letteraria?
Intendiamoci, non nego la possibilità che la poesia nasca spontanea da un cuore primigenio o persino illetterato; non nego nemmeno che abbia diritto di cittadinanza nel paese della libera espressione attraverso parole anche una poesia semplice, o vogliamo dirla innocua? disimpegnata o perfino autoreferenziale.
E tuttavia come sottrarsi a quella punzonatura dell’essere docenti e di aver sentito e di sentire la responsabilità di insegnare prima di tutto la distinzione tra i generi.
E come sottrarsi all'ammissione di colpevolezza: sì insegno quello che amo, le mie predilezioni non le voglio nascondere e uso arte e mestiere per trasmetterle?
Eppure nemmeno noi, così oserei dire radicalmente prof, siamo nate insegnanti. E anche noi siamo nate alla poesia ascoltandola,leggendola, lasciandoci trascinare dalla sua musica. Mi accorgo che scrivo noi,forse devo dir io? Ma sorvoliamo come si sorvola su un dettaglio.
Ho amato la poesia per la musica e le sensazioni che riusciva a far nascere, e ripeto a far nascere e non semplicemente a trasmettere. Ho amato (e di nuovo questo verbo!) la poesia proprio perché rappresenta una forma ulteriore di scrittura, che va oltre l’espressione spontanea, descrittiva, emotiva, referenziale o narrativa per andare ad una sintesi, ad un grumo di sensi e sentire, ad un coagulo di passioni e pensieri, ad un aggregarsi di cellule fatte di segni, ma che diventano vita e rigenerano.
Compravo gli Oscar Mondadori collezionando libro su libro tutti i poeti pubblicati: alcuni ancora, per me sconosciuti. Come sai erano libri economici e senza note ma a me, studentessa, non importava di capire tutto perché avevo la sensazione che non fosse necessario l’approccio totale, immediato, esauriente; o anche potrei dire filologico.
Leggevo voracemente, tutto di seguito afferrando il testo, segnandone alcune parti, interrogandomi su altre e, pur iscritta a Lettere, senza assolutamente immaginarmi in cattedra intenta a spiegare la poesia.
Questo forse troppo lungo discorso, cara Anna Maria,non ti sgomenti; la conclusione, penso, sarà più breve delle premesse.
Si parlava di poesia innocua, di quella di cui son pieni blog e social network, giornali_ni e anche inspiegabili premi letterari.
Da convinta democratica a tutto tondo non nego il diritto di esprimersi anche andando a capo e chiamando poesia ciò che si scrive. Si dia pur voce al sentimento, al sentimentalismo, ai singulti, alla passione così come viene. Lo scrivere è pratica libera e tale dovrebbe rimanere. Devo ammettere che, pur con perplessità, ritengo ammissibili anche circoli (virtuali o reali) in cui ci si loda reciprocamente per le modeste o modestissime performance pubblicate soprattutto in rete complice la semplicità dell’aprire un blog. Basta girarne al largo.
Vorrei tuttavia distinguere tra una pratica di scrittura, dalle infinite gradazioni e gamme, che probabilmente è sempre esistita e di cui esistono gustose espressioni anche in opere liriche (ricordi sicuramente il tutore di Rosina, nel Barbiere rossiniano, che declama : “quando mi sei vicina/ amabile Rosina / il cuor mi brilla in petto / mi balla il minuetto”), dalla poesia.
Possiamo discutere se la poesia richieda metrica e rima, se e quanto sia importante la sperimentazione, se la sua lettura possa esser spontanea o educata, se sia vitale (io penso di no) l’apprezzamento della critica; ma possiamo anche mettere in discussione che, considerata la nostra tradizione letteraria, non solo italiana ovviamente, la poesia debba essere presa sul serio dal lettore e maneggiata con giudizio da chi si vuol attribuire il nome di poeta o poetessa?
Dico francamente che la mia democrazia finisce dove inizia l’arbitrio altrui. Il piacimento è una cosa, il piacersi è altra cosa.
Credo anche che se tanti autori si sono imposti la ricerca del suono attraverso la metrica e la rima sia necessario considerare l’arte poetica anche come una disciplina prima di tutto verso se stessi. Penso che si possa discutere di preferenze personali; ma se noi oggi, piccoli contemporanei,possiamo permetterci in tranquillità di dire che preferiamo Dante a Petrarca o Montale ad Ungaretti, allora possiamo anche dire che una quartina dell’Angiolieri o dieci righe stralunate di Dino Campana (cito gli autori italiani che amo per obbligo di scuderia) valgono da soli milioni di righe apparecchiate in rete per palati affamati, ma non troppo garbati.
Presunzione di aristocrazia letteraria? L’aristocrazia qui non c’entra: c’entra lo studio, la fatica, l’umiltà da cui autori grandissimi si son lasciati impregnare prima di distillare parole.
Io stessa, e questo scritto è anche il mio auto da fé, amo scrivere ma prudentemente mi considero una che scrive versi solo perché va a capo con le frasi seguendo il suo ritmo personale. E infatti sto raccogliendo le mie carabattole scritte con questo titolo. “Andando a capo”. E non pretendo lettori.
I nostri ragazzi, è a loro che noi pensiamo, amano spontaneamente la poesia anche se spesso si proteggono dalle lezioni di letteratura con la corazza della felice e spontanea insolenza dell’adolescente che cerca se stesso. Ebbene io penso che la amino proprio perché al di là, o prima, delle possibile griglie di analisi del testo, percepiscono e colgono l’anima pura della poesia. Quella che non si macchia della belletta negra, quella che può trattare qualunque argomento, quella di cui, oggi come ieri, non possiamo fare a meno. Quella che ha raggiunto il bello stile vagliando e vagliandosi.
E per ultimo vorrei anche dire che, per quanto ci possa dispiacere questa non è un’epoca peggiore di altre, anzi. Forse molti scambiano il male di vivere con il male di non saper essere. Ma questo è tutt’altro discorso.